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Dal cambiare verso al cambiare poltrona: la parabola del boy scout diventato Messia

Ad uso e consumo delle telecamere si consuma la manovrina di palazzo che porta Renzi a Palazzo Chigi. Ma basta cambiare nome per cambiare verso? Basta sostituire i nominati dalla vecchia politica con i giovani nominati da Renzi?
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Ci sono certamente motivazioni di ordine politico dietro la scelta di Matteo Renzi di fregarsene della forma, correre il rischio e pugnalare (non alle spalle, almeno) l'amico Enrico, quello che fino a qualche giorno fa "poteva stare sereno". C'è il timore di un lento logoramento del suo consenso personale, c'è la paura di un crollo verticale dei consensi del Pd alle europee sulla scia dell'impopolarità del Governo, c'è (come abbiamo provato a spiegarvi qui) il terrore di un fallimento del percorso di riforma della legge elettorale e l'incubo delle eterne intese, addirittura con Berlusconi. E c'è anche la sensazione di essere in un vicolo cieco, come ha spiegato perfettamente Francesco Costa: "In condizioni normali, cosa può fare un leader politico che ha bisogno di correre? Se è al governo, sposa un’agenda politica aggressiva, cerca una o due riforme particolarmente significative e simboliche. Se è all’opposizione, martella il governo dalla mattina alla sera. Dov’era Renzi fino a ieri, al governo o all’opposizione?".

Poi ci sono motivazioni di carattere personale, umano. Che rimandano evidentemente alla personalità di Renzi, al suo narcisismo, alla enorme considerazione che ha di se. Ne scrivevamo qualche mese fa subito dopo la sua vittoria alle primarie: "Davvero credete che Renzi resti buono in un angolo a dispensare fiducia al Governo, a regalare il palcoscenico internazionale a Letta e a farsi logorare da Grillo e Berlusconi?". Insomma, di colpo sembra quasi che il Paese abbia scoperto che Renzi è un tipo ambizioso e accentratore, disposto a rischiare in prima persona e sostanzialmente allergico alle vecchie liturgie della politica (su quest'ultimo concetto però è doveroso aggiungere qualcosa). Così come di colpo in tanti si sorprendono nel constatare che a decidere, più che motivazioni di carattere politico o (eresia) ideologico, sono i rapporti personali e di forza all'interno di un partito, le simpatie e le ambizioni personali e via discorrendo.

Infine c'è la questione del cambiamento. Il mantra renziano, da sempre. Che qualcuno, come Ezio Mauro, torna a leggere in chiave messianica: "In questo senso Renzi non fa promesse di cambiamento, “è” una promessa di cambiamento. Qualcosa di biologico, pre-politico, naturale, addirittura primitivo. Per chi accetta questa scommessa il modo di realizzarla è secondario, conta il dispiegarsi della leadership. Anzi, la contraddizione è parte dell’azzardo […] Si sta col naso all’insù per applaudire l’acrobata alla fine, se ce la fa, ma anche per l’emozione che trasmette il rischio consapevole di vederlo cadere". Siamo al Messia, dunque. E già sembriamo dimenticarci che quel cambiamento di paradigma, doveva essere non una semplice sostituzione nei nomi, ma uno stravolgimento della prassi, un azzeramento di quei meccanismi che hanno portato il Pd a diventare un calderone di interessi e notabilati ed il Paese a diventare…quello che è, insomma. Mentre questo è un passaggio, grigio, triste, opaco. C0n tanto di ennesimo schiaffo al Parlamento, va detto.

Serviva un cambiamento di paradigma, dunque. E a predicarlo era l'uomo del "cambiare verso", colui che "poneva il suo onore per meritare fiducia". Ecco, fermiamoci un attimo. Come si cambia verso con la stessa maggioranza, litigiosa ed inconcludente nelle Commissioni e pronta a spaccarsi (ora più che mai) in Aula? Come si cambia verso con lo stesso, identico, programma del Governo Letta (Renzi ha assunto come "traccia" il patto di coalizione presentato comicamente il giorno prima da Letta)? Come si cambia verso con una manovra economica già impostata e con paletti già fissati? Come si cambia verso quando gli interlocutori (con i quali necessariamente bisogna interfacciarsi) sono gli stessi? Come si cambia verso quando si regala all'opposizione anche l'arma della "illegittimità procedurale" della gestione della crisi di Governo? Insomma, davvero qualcuno crede che basti cambiare il pisano col fiorentino per cambiare radicalmente verso al Paese? O che sia sufficiente sostituire ministri nominati dalla vecchia politica con giovani cooptati dal Sindaco di Firenze? Sempre ammesso che, lo ripetiamo, non si consideri Renzi il nuovo Messia.

Poi c'è la questione della lealtà, dell'onore. Che non dovrebbero essere secondario per uno dalla formazione scout come Renzi. Nota con amarezza Mantellini: "Che sconfinata delusione il Matteo Renzi che fino a ieri metteva fretta al Governo perché legiferasse in tempi cronometrici e che oggi invece si intesta senza imbarazzi ma anzi per il nostro bene un prossimo premierato fino al 2018, il tempo necessario – sciocchi che non siete altro – per cambiare l’Italia". E del resto, siamo alla assimilazione dell'incoerenza e del voltafaccia di Renzi, anzi alla sua derubricazione a fatto secondario. Come se nei pochi giorni passati dal "sostegno al Governo" (se fa le cose, certo) al "grazie Enrico, ma ci hai portato nella palude", fossero accaduti chissà quali stravolgimenti. Anzi, a dirla tutta, in quest'ultima settimana il Governo ha pure portato a casa Terra dei Fuochi, Destinazione Italia (prima fase) e Finanziamento partiti (ennesimo step). Tra qualche difficoltà, chiaro.

Ma tant'è, Renzi vuole "correre il rischio". E la Direzione del Pd si prostra, in maniera beffarda, comica o ridicola, a seconda delle interpretazioni, a quella che è evidentemente una forzatura. Che non va né verso la normalizzazione della prassi istituzionale, né verso l'ampliamento della partecipazione democratica. Ma che ripropone lo stesso schema del passato (recente): la politica emergenziale, la logica del "non c'erano alternative" (legge elettorale e urne, fiducia a Letta, rimpasto, ripristino del Mattarellum con M5S e poi voto, tanto per scrivere "cose a caso"), la sindrome del "meno peggio". Certo, ora Renzi ha in mano le briglie. Il punto è che i cavalli hanno le zampe ben dentro il pantano.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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