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Dal 2008 oltre 500mila italiani sono fuggiti all’estero in cerca di lavoro

Dal 2008, anno di inizio della crisi economica, al 2016 oltre 500mila connazionali si sono trasferiti all’estero. Le principali destinazioni prese in considerazione sono state la Germania, il Regno Unito e la Francia: “La doppia crisi – finanziaria e del debito sovrano – diffusasi dal 2008 al 2014, ha comportato una perdita di 889 mila posti di lavoro” e “complessivamente, fra il 2008 e fine 2015, 792 mila persone si sono cancellate dagli archivi anagrafici dei comuni italiani per trasferirsi all’estero; di queste 509 mila sono cittadini italiani”.
A cura di Charlotte Matteini
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Negli ultimi 8 anni oltre 500mila connazionali si sono trasferiti all'estero. Le principali destinazioni prese in considerazione sono state la Germania, il Regno Unito e la Francia. A evidenziarlo è il rapporto "Il lavoro dove c'è. Un'analisi degli spostamenti per motivi di lavoro negli anni della crisi" elaborato dall'Osservatorio statistico dei consulenti del lavoro. Stando ai dati contenuti nel rapporto, a partire dall'anno 2008, data di inizio della crisi occupazionale, i cittadini italiani hanno cambiato esigenze e prospettive e  il numero di soggetti decisi a spostarsi in un’altra città per lavorare è cresciuto senza sosta. "La doppia crisi – finanziaria e del debito sovrano – diffusasi dal 2008 al 2014, ha comportato una perdita di 889 mila posti di lavoro. Negli ultimi due anni (2015 e 2016) la ripresa dell’economia e le politiche di riduzione del costo del lavoro a tempo indeterminato hanno prodotto un incremento dell’occupazione (+458 mila persone), che è stato colto soprattutto da 4 regioni che hanno recuperato i livelli occupazioni pre-crisi: il Lazio, il Trentino Alto Adige, la Lombardia e l’Emilia-Romagna", si legge nella premessa.

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"Complessivamente, fra il 2008 e il 2015, 792 mila persone si sono cancellate dagli archivi anagrafici dei comuni italiani per trasferirsi all’estero; di queste 509 mila sono cittadini italiani. È importante notare che i residenti che hanno chiuso la loro iscrizione presso i servizi anagrafici comunali sono per il 30% di cittadinanza straniera. Si tratta in larga misura di rimpatri di cittadini dell’Europa dell’Est che, in mancanza di lavoro, hanno fatto ritorno al Paese di origine. Sia nel caso di cittadini italiani che di cittadini stranieri non si tratta solamente di lavoratori, ma anche di altri componenti del nucleo familiare. Le cancellazioni di residenza per trasferimenti all’estero fanno registrare un costante incremento a partire dal 2008 (61 mila), fino a superare i 100 mila l’anno nel 2012 (106 mila) e raggiungere il picco di 147 mila nel 2015″, prosegue il rapporto, evidenziando che "questa ‘fuga dei residenti italiani' può essere interpretata come l’effetto della crisi della domanda di lavoro interna. Un forte incremento dei flussi migratori verso l’estero si registra, infatti, a partire dal 2012, dopo almeno 3 anni di dura crisi e di perdita di molti posti di lavoro. Le prospettive ancora oscure sulla ripresa hanno comportato drastiche scelte di vita laddove si sia presentata una possibilità concreta di occupazione".

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Inoltre, per quanto riguarda i lavoratori che non hanno lasciato l'Italia per andare a lavorare all'estero, l'osservatorio evidenzia che "su 22,2 milioni di occupati di età compresa fra i 15 e i 64 anni, ben 2 milioni e mezzo (11,3%) lavorano fuori dalla provincia di residenza. Di questi 2,3 milioni lavorano abitualmente in un’altra provincia italiana (10,7%) mentre 136 mila lavorano abitualmente all’estero (0,6%). La mobilità per motivi di lavoro è maggiore per le classi di età più giovani. Infatti il 12,3% degli occupati fra i 15 e i 34 anni lavora in un’altra provincia italiana e l’1% lavora all’estero. All’aumentare dell’età diminuisce progressivamente la propensione agli spostamenti sia in Italia che all’estero". Questi spostamenti, inoltre, sono giustificati da salari medio alti e sono prerogativa dei lavoratori più qualificati.

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