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Dai lavoratori fragili alle politiche di cura. Quali sono gli obiettivi dimenticati dal Pnrr

L’attenzione per il rispetto della tabella di marcia delle scadenze legate al Recovery Plan rischia di far perdere di vista l’obiettivo principale del piano: rilanciare l’economia europea dopo la pandemia, creando una società più equa e giusta. Quattro studi di ricerca presentati nel corso di un convegno a Roma misurano l’efficacia del Pnrr italiano, in base a criteri e obiettivi in grado di migliorare davvero la vita delle persone.
A cura di Marco Billeci
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Scadenze e obiettivi, investimenti e riforme del Pnrr sono destinati a marcare il percorso dell'Italia, da qui al 2026. Ci sono però alcuni parametri che – anche se non si trovano tra quelli "ufficiali" collegati al Recovery Plan – andrebbero presi in considerazione per valutare se il piano riuscirà nel suo obiettivo principale: creare una società più giusta e una crescita più equa, dopo la pandemia.

Degli obiettivi "dimenticati", dai piani nazionali di ripresa e in particolare da quello italiano, si è occupato il convegno "Piani Nazionali di Ripresa e Resilienza: valutare per migliorare", che si è tenuto nella sede del Cnel a Roma, il 15 dicembre scorso, organizzato dalla Foundation for European Progressive Studies e dal Forum Diseguaglianze e Diversità. Nel corso dell'evento, sono stati presentati quattro studi che analizzano i piani di diversi Paesi europei, in relazione ad alcuni temi specifici.

Le diseguaglianze tra i territori

Il primo di questi è stato esposto da Alessandra Faggian, direttrice per le Scienze Sociali del Gran Sasso Science Institute. La ricerca si occupa di misurare quanto i piani di alcuni Paesi – tra cui l'Italia – siano "place sensitive", cioè quanto aiutino la coesione nazionale. Sono individuate tre dimensioni di valutazione. La prima è quella territoriale. In quest'ottica, ha ricordato Faggian, il Pnrr  ha dedicato il 40 percento delle risorse al Sud.

Non bastano le cifre sulla carta, però, a promuovere il piano italiano. Oltre al problema della reale capacità di assorbimento delle risorse nel Mezzogiorno, infatti, nello studio è sottolineato come quella Nord-Sud non sia l'unica divaricazione esistente, ma esistano anche altri tipi di disparità tra territori: centrali e periferici, marginali e non, etc… Sotto questo punto di vista, il Pnrr presenta una grande frammentazione di interventi, che sembrano frutto delle pressioni di diversi gruppi di interesse, ma senza una visione armonica, su come ridurre i divari e favorire la coesione.

Il secondo aspetto considerato nello studio è quello della partecipazione delle comunità locali al piano. La valutazione degli esperti è che durante la costruzione del Pnrr, in Italia ci sia stata poca consultazione pubblica e mai con un vero e proprio coinvolgimento degli attori locali. Si chiede allora di rimediare in fase di attuazione, perché il dibattito pubblico è considerato essenziale, per politiche territoriali efficaci. Stessa critica viene mossa anche sul tema della governance, che è stata molto centralizzata, anche a causa delle tempistiche ristrette. Da questo punto di vista, si sottolinea come di circa 24mila assunzioni previste dal Pnrr, nella pubblica amministrazione, solo 2800 riguardino le amministrazioni locali.

Politiche di genere e di cura

Un altro paper presentato durante il convegno si occupa invece di politiche di genere e di cura. L'obiettivo, ha spiegato una delle autrici, Laeticia Thissen, (Policy Analyst for Gender Equality della FEPS), è valutare se e come gli impatti socioeconomici del Covid, sostenuti dalle donne e dai gruppi più svantaggiati, si siano tradotti in un approccio guidato dall’assistenza, nei piani di ripresa. Tutti quelli presi in esame affrontano la questione, ma con cifre molto inferiori rispetto ad altre voci di spesa e profonde differenze tra Paese e Paese, dovute anche ai diversi livelli di assistenza preesistenti.

Spagna e Finlandia sono gli unici Stati  che hanno, nel proprio progetto, un capitolo specifico legato alla cura. Le misure dell’Italia invece sono diffuse tra diverse voci: infrastrutture sociali, famiglia, comunità e terzo settore. Nel nostro Paese viene data una maggior attenzione alla sfera privata, rispetto a quella pubblica. In generale, la maggior parte dei piani concepisce la cura e assistenza solo come un costo e non come un valore in sé, necessario per raggiungere obiettivi di inclusività, equità e benessere sociale.

Una strategia per l'infanzia

È stata poi la volta de "Il ruolo della Recovery and Resilience Facility nel rafforzamento delle politiche per l’infanzia", presentato da Francesco Corti, ricercatore al Centre for European Policy Studies. Corti ha ricordato come, grazie al Pnrr, l'Italia dovrebbe colmare almeno in parte le gravi lacune nel settore dei servizi per l'infanzia. Grazie a un investimento previsto di 4,6 miliardi, infatti, l'obiettivo è raddoppiare il numero di posti esistenti e raggiungere una copertura del 33 percento.

Questa la teoria. La messa in pratica però fa emergere fin da oggi non poche difficoltà, evidenziate dagli studiosi. Entro metà 2023 dovrebbero essere assegnati tutti i contratti di lavoro, per la costruzione o rinnovamento delle strutture. Ma già la data di scadenza per l'aggiudicazione dei bandi ha subito tre diverse proroghe, per le difficoltà dei Comuni, soprattutto al Sud, nel presentare progetti in grado di coprire la quota di fondi, garantita a ogni regione. Ancora oggi, peraltro, il 22,1 percento dei soldi stanziati sono assegnati con riserva, in attesa di ulteriori accertamenti. Questo sta creando ulteriori ritardi.

Nonostante le deroghe, poi, alcune regioni non hanno presentato progetti sufficienti e una parte delle risorse è stata spostata altrove. A cioè si aggiunge il fatto che i criteri di ripartizione non tengono conto delle differenze interne tra le diverse zone di un territorio regionale. Terzo problema, nei target concordati con la Ue non si specificano le quote dei posti per i nidi o per le scuole per l’infanzia. E molti comuni hanno deciso di investire su queste ultime, perché avevano una rete di partenza più solida.

In ogni caso, concludono i ricercatori, sulla base delle graduatorie di  assegnazione dei bandi, possiamo già dire che l’obiettivo del 33 percento di copertura, non sarà raggiunto da alcune regioni, tra cui Campania e Sicilia. Inoltre, si sottolinea, per raggiugnere lo scopo, bisognerà anche trovare da qui a tre anni 42mila educatori (di cui 30mila nei servizi per l’infanzia) da inserire nel sistema.

Una transizione giusta

L'ultimo studio presentato nel corso dell'evento riguarda uno dei temi chiave del Recovery Plan, cioè la transizione ecologica. Viene però sottolineato un aspetto che si ritiene non sia stato affrontato in modo sufficiente: come coniugare sostenibilità ambientale, salvaguardia dell'occupazione ed eguaglianza economica. Nel paper, firmato da un gruppo di accademici dell'Università Sant'Anna di Pisa, ci si concentra sul settore automobilistico, uno di quelli potenzialmente più colpiti, dal processo di transizione.

Spiega la ricerca che, nei piani dei diversi Paesi, emergono risposte molto distinte su questa materia. Quelli di Svezia Spagna e Germania sembrano più attrezzati per mettere in atto politiche industriali e di riconversione della forza lavoro. Il Pnrr italiano al contrario si caratterizza da un lato per una forte assenza di pianificazione, su come creare una cintura di sicurezza, per i lavoratori del settore automobilistico. E dall'altro, per la mancanza di una chiara programmazione per l’industria dell’energia rinnovabile e le sue applicazioni.

C'è, nel piano italiano, un interesse allo sviluppo della mobilità sostenibile, ma non si capisce bene in cosa si sostanzino i piani di azione. La raccomandazione degli studiosi allora è per l'Europa, quella di creare un’agenzia comunitaria, che si occupi di politica industriale. E per l’Italia, di mettere con urgenza sul piatto, la questione dei lavoratori più esposti alle conseguenze della transizione ecologica. Ad oggi, conclude l'analisi, l'Italia non ha un piano dell’auto, unica tra i principali Paesi produttori.

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