C'era ovviamente grande attesa per la concretizzazione di quella "apertura alla società civile" con la quale il segretario del Partito Democratico Pier Luigi Bersani aveva inteso caratterizzare la composizione delle liste democratiche per le politiche del 2013 (al pari della totalità dei leader politici, tra l'altro). Prescindendo da considerazioni nel merito di alcune scelte (in un senso o nell'altro), non si può non registrare un certo scetticismo su alcuni criteri adottati. A partire dalla ambiguità di fondo della questione "deroghe" (alcuni candidati hanno partecipato alle primarie, come la Bindi, altri sono stati inseriti dall'alto come Marini, altri ancora, come Sposetti, non hanno nemmeno richiesto la deroga), fino ad arrivare alla "distribuzione" in lista dei prescelti dal segretario democratico e dai nomi in qualche modo indicati dalle altre aree (il probabile ripescaggio di Giorgio Gori ne è un esempio). Ne parla in maniera diretta Pippo Civati:
Dove invece permane la sua filosofia, è nell’inserimento nelle liste di staffisti e di collaboratori dei big (antichi e nuovi, purtroppo), di leader derogati e candidati senza primarie, di parlamentari uscenti esclusi e di parlamentari inclusi (senza primarie) con criteri diversi, caso per caso. Tutte cose che erano state escluse alla fine di dicembre, e che invece sono puntualmente ricomparse ieri sera. Il tutto è riassumibile nel concetto di quota, attribuita ai capicorrente.
Accanto a questa "quota" di problemi, appunto, vi è un'altra serie di considerazioni, che rimanda alla logica del "ma anche" che sembra non voler abbandonare le alte sfere del Nazareno. Quella che impone di candidare necessariamente un operaio, ma anche un imprenditore. Un giovane, ma anche un novantenne. Un ultra – cattolico ed un laico per eccellenza. Come se ciò bastasse a raggiungere una sintesi ideologica e programmatica. Come se la semplice presenza di un rappresentante di categoria servisse a rassicurare elettori e simpatizzanti sull'equità dei provvedimenti che si intendono adottare. Certo, nessuno mette in discussione che un grande partito debba essere in grado di condividere ed intercettare istanze di diverso tipo che arrivano dalla società, ma quello della "rappresentanza" rischia di essere un gigantesco equivoco. E una fonte di problemi e "casi", come già avvenuto in passato. Dalla rappresentanza radicale, lontana su tantissimi temi dai democratici (questione complessa, lo riconosciamo), ai capolavori Calearo, Villari, Binetti, solo per fare qualche nome. Anche stavolta, dunque, Bersani prova a non farsi mancare nulla, paracadutando ancora Colaninno (531esimo su 630 deputati nella classifica di produttività di openpolis) in posizione di elezione sicura ed affiancandogli anche Giorgio Galli, ex direttore generale di Confindustria, Giorgio Santini, segretario aggiunto della Cisl (sindacato oggetto di polemiche roventi con parte della dirigenza democratica negli ultimi anni) e tra gli altri anche il professor Dell'Aringa, già in predicato di diventare ministro del Governo guidato da Mario Monti (forse proprio al posto della Fornero). Scelte legittime, si dirà. Scelte condivise, ci sarebbe piaciuto poter dire.