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“Da quando sono a bordo dell’Humanity 1 ho finalmente ricominciato a dormire”, la storia di Fida

“Per la prima volta mi sono addormentata profondamente senza pensare a proteggere i miei figli”. Il racconto di Fida, una delle 106 persone soccorse dall’Humanity 1 e sbarcate ieri nel porto di Ortona.
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foto di Lidia Ginestra Giuffrida, a bordo dell'Humanity 1
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Fida sta seduta in mezzo ai suoi cinque figli, attende incredula di toccare la terraferma. Insieme a lei gli altri 105 sopravvissuti a bordo della Humanity 1, la nave umanitaria dell’ong tedesca Sos Humanity arrivata ieri al porto di Ortona, attendono il loro turno per poter sbarcare.

“Da quando sono a bordo della nave ho finalmente ricominciato a dormire, per la prima volta mi sono addormentata profondamente senza pensare a proteggere i miei figli”, racconta Fida abbracciando il figlio più piccolo. Il suo viaggio è iniziato nel luglio del 2012, quando il marito è morto e lei era incinta del suo ultimo figlio. “Mi dissero di scappare immediatamente verso il sud della Siria perché avrebbero bombardato l’area in cui vivevo, ho preso le mie due figlie e mio figlio Said che è disabile, e sono fuggita lasciandomi alle spalle il mio secondo figlio maschio. Lui stava fuori casa e non c’era tempo di andarlo a prendere”, continua.

Da lì inizia una lunga odissea: “dopo 45 giorni mio figlio è riuscito a raggiungerci, ma nel frattempo il posto in cui c’eravamo rifugiati non era più sicuro. È stato lì che ho capito che anche Said provava delle emozioni. Non è stato mai capace di esprimerle ma un giorno c’è stata un’esplosione proprio di fronte a lui e per la prima volta ha espresso la paura, da quel momento ha iniziato a soffrire di epilessia”.

Neanche il sud della Siria era più sicuro per Fida e i suoi figli, così da sola con un figlio epilettico, un neonato, due bimbe e un bambino, si rifugia in Giordania. “Nel campo profughi dove abbiamo vissuto dal 2012 al 2022 hanno rapito e provato a stuprare due volte sia Said che Yassin, il mio secondo figlio. Allora ho deciso di andare via anche da li”.

Fida e i suoi figli restano due anni e tre mesi in Libia, trascorsi tra i capannoni dei trafficanti e la prigionia. “Ho provato otto volte a raggiungere l’Italia – continua con le lacrime agli occhi – ma per otto volte la guardia costiera libica ci ha riportati indietro. Ricordo come se fosse oggi la prima volta che sono salita su uno di quei barchini, dopo un'ora e mezza abbiamo iniziato ad imbarcare acqua e la guardia costiera libica è venuta a prenderci. Ha iniziato a picchiare la gente molto forte, tre persone si sono buttate a mare e i libici li hanno guardati affogare senza fare niente. Mentre stavamo sulla motovedetta hanno iniziato a picchiare Said, io urlavo dall’altra parte dell’imbarcazione di lasciarlo stare, che è disabile, ma loro hanno continuato fino a fargli perdere completamente coscienza".

foto di Lidia Ginestra Giuffrida, a bordo dell'Humanity 1
foto di Lidia Ginestra Giuffrida, a bordo dell'Humanity 1

Fida e i suoi cinque figli erano nella seconda imbarcazione salvata dalla Humanity 1 giovedì scorso. “La penultima volta che provai a raggiungere le coste italiane era il 19 luglio 2023 – continua la donna – ero con altre 400 persone su un’imbarcazione che poche ore dopo la partenza si è ribaltata. Sono stata costretta ad immergere ad uno ad uno i miei figli nell’acqua del mare nella speranza che si salvassero. Avevo perso ormai qualsiasi speranza di riuscire a raggiungere l’altra parte del Mediterraneo, invece giovedì poco dopo che il motore della barca si era spento, mentre eravamo fermi in mezzo al nulla, siete arrivati voi”.

Salita sul Rihb, il gommone con cui vengono effettuati i salvataggi, Fida inizia a pregare e a chiedere incessantemente di far salire a bordo anche Said. “Non potevo credere che foste davvero europei, ancora adesso non mi capacito di star per sbarcare in Italia”.

foto di Lidia Ginestra Giuffrida, a bordo dell'Humanity 1
foto di Lidia Ginestra Giuffrida, a bordo dell'Humanity 1

Prima di attraversare la passerella in ferro che collega la nave umanitaria al molo, Fida lascia le mani dei figli, abbraccia le donne dell’equipaggio e le ringrazia. "Ce l'hai fatta”, le ripetono loro. Ieri ce l'hanno fatta tutte le 106 persone che per quattro giorni sono state accudite a bordo della Humanity 1.

È uno strappo irreversibile vedere andare via delle persone sconosciute con cui, nell’ambiente materno della nave, si è consumato il passaggio verso la loro nuova vita. Adesso li aspetta un futuro incerto, fatto di montagne russe burocratiche per poter ottenere il permesso di soggiorno, nella speranza – per chi viene da paesi considerati “sicuri” dal nostro governo – di non essere rimandati indietro nel posto da cui si è scappati.

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