Il discorso con il quale Liliana Segre ha aperto i lavori della XIX legislatura al Senato è stato giustamente celebrato e ampiamente condiviso sui media tradizionali e sui social network. La senatrice a vita ha ripercorso alcuni momenti della sua vita, ha citato Calamandrei e Matteotti, ha ricordato la centralità della nostra Costituzione e ha sottolineato l’enorme sciocchezza del considerare il 25 aprile (così come il 1 maggio e il 2 giugno) delle feste divisive. Applausi convinti, tanti senatori in piedi e quel misto fra solennità e commozione che accompagna i rari momenti di questo tipo nelle aule parlamentari.
Mentre Segre parlava c’era un enorme “però” che campeggiava alle sue spalle. L’Aula che si spellava le mani ad applaudire la reduce dalle deportazioni nazi-fasciste, si preparava a elegge Ignazio Benito Maria La Russa come seconda carica dello Stato. Al vertice del Senato della Repubblica, nel centesimo anniversario della marcia su Roma delle squadracce fasciste, sale l’ex leader del Fronte della Gioventù, orgoglioso esponente del Movimento sociale italiano, strenuo difensore della “non punibilità del saluto romano”, collezionista di busti di Benito Mussolini, uomo convinto che, in fondo, siamo un po’ tutti figli suoi. Intendiamoci, La Russa non è un parvenu della politica e ha già occupato ruoli di primissimo piano tanto al governo che nei palazzi istituzionali: ministro, vicepresidente della Camera e del Senato, referente di spicco di An e poi Fdi. Non siamo in presenza di un fatto nuovo, né di un’anomalia politica: il processo di normalizzazione della destra post-fascista è in atto da decenni e le ultime elezioni hanno confermato che non è percepito come un problema né dagli italiani né da quelli che in teoria sarebbero avversari politici. Peraltro, a votare per Ignazio La Russa sono stati circa una ventina di senatori che teoricamente sarebbero all’opposizione, a ulteriore conferma di quanto siano cadute le pregiudiziali sugli ex missini, malgrado una campagna elettorale all’insegna del pericolo democratico rappresentato da quella che autorevoli esponenti del centrosinistra definiscono la “peggior destra di sempre”.
Dobbiamo rassegnarci al fatto che la copertina di questa legislatura non possa essere il discorso della senatrice a vita, ma quello oltremodo confuso dell’ex ministro del governo Berlusconi (che, tra le altre cose, vuole celebrare la data di nascita del Regno d’Italia e magari tornerà a spiegarci le virtù del saluto romano in caso di recrudescenza della pandemia). Non c’è da stupirsi, però.
Questa pagina dell’autobiografia della nostra nazione la stanno scrivendo i La Russa e non le Segre.
La sta scrivendo la vecchia classe dirigente del centrodestra, la stessa che ha guidato il Paese per anni e che è riuscita a tornare presentabile grazie al lavoro e alle qualità di Giorgia Meloni. La scriveranno i militanti storici della destra italiana, quello zoccolo duro che ha abbozzato per anni di fronte alla sempre annunciata e mai realizzata “rivoluzione liberale” di Berlusconi, malgrado avesse formazione e cultura radicalmente diverse. La scriveranno anche quelli che non hanno mai condannato fascisti e consorteria varia (e un annetto fa qualcosa vi abbiamo raccontato…). La scriveranno politici di lunghissimo corso, che sanno come si gestisce l'elezione di una figura pubblica senza farsi fregare dagli alleati (il teatrino di queste ore, tra Berlusconi e gli altri leader, è solo un antipasto). La scriveranno quelli che hanno gestito la lunga transizione di questi anni dalle piazze di estrema destra ai salotti romani, passaggio cruciale per ogni esperienza che si immagini un minimo duratura.
Ne hanno pieno diritto, avendo ricevuto un chiaro mandato dagli elettori italiani. E ne hanno legittimità, dopo anni di normalizzazione di istanze e rivendicazioni da parte di media e politica, che hanno portato l’opinione pubblica a interiorizzare pratiche e concetti che pure rimandano a pagine buie della storia italiana ed europea.
Non è La Russa, il problema. È che non sappiamo neanche più spiegare come si possa passare da Segre a La Russa nel breve volgere di qualche minuto. Non abbiamo le coordinate per farlo e finiamo semplicemente col prendercela con gli elettori. Dimenticando quanto sia ampia e grave la responsabilità del processo di destrutturazione culturale che ha portato a ritenere "normale" che uno con la storia e le idee di La Russa diventi la seconda carica dello Stato.