L’indirizzo email rivoluzione@governo.it sta diventando il punto di snodo della relazione digitale fra Matteo Renzi e i cittadini. Dopo essere stato utilizzato per ricevere i contributi degli italiani sulla riforma della Pubblica Amministrazione (oltre 30mila mail poi catalogate ed analizzate dal Ministro Madia) ora viene riproposto per ricevere suggerimenti dai cittadini sul tema annoso della giustizia.
Ho idea che le relazioni digitali fra amministratori ed amministrati possano essere divise in due grandi gruppi. Da una parte quelle con una valenza orientativa, basate sull’assioma sempre valido della rete che aggiunge e non toglie, dall’altra parte quelle di stampo decisionale, quasi mai praticate e da noi sostenute solo dal Movimento Cinque Stelle che mirano ad investire i cittadini di un reale ed immediato potere.
Nessun dubbio che rivoluzione@governo.it appartenga al primo tipo anche se questa sorta di relazione leggera fra la politica che prende visione dei suggerimenti di tutti e poi decide in autonomia non è di per sé libera da complicazioni. Ieri, per esempio, Michele Ainis sul Corriere della Sera ricordava il caso recente di Bologna dove l’Amministrazione alcuni mesi fa ha chiesto ai cittadini di esprimersi a favore o contro gli stanziamenti per la scuola paritaria e poi, preso atto dei risultati del referendum, ha deliberato in senso opposto rispetto alle indicazioni ricevute.
Ma se il sogno della politica semplice microfono del cittadino decisore sembra destinato a rimanere tale per molto tempo, tali e tante sono le complicazioni tecnologiche, di metodo e soprattutto etiche che trascina con sé, il rischio della relazione superficiale fra cittadino e politica declinata con la semplice diffusione di un indirizzo di posta elettronica a cui scrivere è quello di un suo rapido svaporamento. Perché è vero che la rete aggiunge e non toglie e che un lavoro di filtro ben fatto può recuperare dalle mail di migliaia di perfetti sconosciuti proposte sensate o addirittura geniali ma è anche vero che una simile relazione andrebbe in qualche maniera codificata, affinché valore (da una parte) ed attenzione (dall’altra) possano emergere. L’impressione è che questo ancora non accada.
Anche un semplice indirizzo email è una relazione a due direzioni e se si riesce ad evitare di cadere nella facile trappola intellettuale di ridicolizzarlo in quanto strumento elementare e lievemente populista (a proposito, che senso ha chiedere il contributo dei cittadini su temi tecnici e molto ampi come quello della Giustizia?), allora occorre, al passo successivo, trovare il modo di riconoscergli al massimo il valore legato al contributo dei singoli.
Se il progetto è questo allora lo strumento adatto non è un indirizzo email ma l’ascolto ampio delle conversazioni di rete, nei luoghi in cui la politica viene discussa e analizzata. Dentro quel gigantesco calderone il mago di numeri digitali potrà estrarre senso e indicazioni, preoccupazioni ed entusiasmi con un'approssimazione rispetto al sentimento generale del Paese molto inferiore rispetto a quello di un indirizzo email offerto ai grafomani.
Si tratta di un lavoro enormemente più complesso di quello di analizzare qualche migliaia di email dietro alle quali si cela comunque l’insidia del non detto, delle ragioni per cui qualcuno decide di scrivere al Governo per contribuire a cambiare il mondo o semplicemente per confondere la acque o vincere la noia.