D’Alema: “Renzi ha perso il contatto con il Paese. Al referendum voto no”
Alla fine Massimo D'Alema ha votato "Come sempre: secondo le indicazioni del partito". In un'intervista al Corriere della Sera, l'ex presidente del Consiglio ha confessato di considerare la sconfitta qualcosa che va "molto al di là di specifici eventi locali. È una tendenza generalizzata". Secondo D'Alema "serve una figura che si occupi del Pd a tempo pieno. E serve una direzione collegiale. Il partito è stato volutamente lasciato senza guida. Lo si ritiene non importante oppure si scarica su di esso la colpa quando le elezioni vanno male. È tutto puntato sul leader e il suo entourage, neanche collaboratori. Renzi non convoca la segreteria, che pure è un organo totalmente omogeneo. Si riunisce solo con un gruppo di suoi amici". E sulle direzioni del Pd tenute finora non ha dubbi: "Sono momenti di propaganda. Il capo fa lunghi discorsi, cui seguono brevi dichiarazioni di dissenso; poi parlano una cinquantina di persone che insultano quelli che hanno dissentito. Non c’è ascolto, non c’è confronto. Non esiste la possibilità di trovare convergenze o accordi".
Due punti caldi dell'intervista: l'Italicum e il referendum di ottobre. Sulla legge elettorale l'ex premier ritiene che sia "incostituzionale" e che dia una risposta "molto parziale e deludente". Sul referendum annuncia il suo "no", per ragioni che "non sono molto diverse da quelle per cui votai no, nel 2006, alla riforma di Berlusconi. Che per certi aspetti era fatta meglio. Anche quella prevedeva il superamento del bicameralismo perfetto e la riduzione dei parlamentari. Ma riduceva anche i deputati. E stabiliva l’elezione diretta dei senatori; non faceva del Senato un dopolavoro. Sarebbe stato meglio abolirlo". Personalizzare "in chiave plebiscitaria il referendum, che dovrebbe essere un pronunciamento dei cittadini libero da qualsiasi ricatto" è stato "un errore gravissimo".
Per l'ex presidente del Consiglio è evidente che Renzi ha perso il contatto "con la base e con il Paese. Una parte molto grande dell’elettorato di sinistra non si riconosce nel Pd, non lo sente come proprio, non si mobilita. Ho fatto campagna elettorale, là dove mi hanno chiamato. Ho trovato anche qualcuno che diceva: non dovete disturbare Renzi, ma anche tanti con un sentimento di avversione. Lui non si è limitato a rottamare un gruppo dirigente; sta rottamando alcuni milioni di elettori". Votanti persi, perché si è "spezzato" il legame con il partito.
E se a Milano non si è vinto "perché Renzi ha scelto Sala" ma perché "Pisapia si è battuto come un leone per coprirlo a sinistra", la disfatta che ha dispiaciuto di più D'Alema è stata quella di Fassino a Torino: "Non meritava questa sconfitta. E non meritava di sentirsi dire, dopo aver sostenuto Renzi in tutti i modi — anche troppo, come presidente dell’Anci — che ‘abbiamo perso perché avevamo volti vecchi'. Come se fosse un’analisi che ha un briciolo di sensatezza. Mastella non ha vinto perché è un volto nuovo; Dipiazza neppure. Il giovane Giachetti non è andato benissimo". Per ovviare a questa situazione Renzi "dovrebbe cambiare": "Questo risultato mette in discussione sia il rapporto tra il Pd, il suo elettorato e la società italiana, sia la politica del governo. E mette in discussione il modo in cui Renzi esercita tutti e due i ruoli.".
Per D'Alema, il premier "è convinto di essere il Blair italiano. Ma Blair si circondò del meglio del suo partito, non di un gruppetto di fedelissimi. Blair prese il principale avversario, Gordon Brown, e lo fece cancelliere dello scacchiere. Volle ministri Robin Cook e Jack Straw, figure storiche del laburismo. Ma Blair era intelligente: capiva che doveva mettere insieme forze tradizionali con forze nuove in grado di attrarre. Se per attrarre 5 ne cacci 10, come si sta facendo, il bilancio è meno 5″. Il punto è che Renzi non sembra "una persona orientata a tenere conto degli altri e neanche della realtà; neanche di quelle più prossime, visto che abbiamo perso a Sesto Fiorentino. Eppure sarebbe necessario un cambio di indirizzo nell’azione di governo, e anche un cambio di stile. Compreso il rispetto che dovrebbe essere dovuto a una classe dirigente che ha vinto le elezioni e ha fatto cose importanti per il Paese: l’euro, le grandi privatizzazioni, la legge elettorale maggioritaria uninominale; non quella robaccia che ci viene proposta adesso".
E sulle polemiche di questi giorni, D'Alema si toglie qualche sassolino dalla scarpa: "Da anni il Pd non mi chiede nulla, e all’improvviso apprendo dai giornali che dovrei fare un appello alla vigilia del voto per una causa palesemente disperata. E addirittura si riscopre che sono un ‘fondatore del Pd’". Non c’era mai stata "una pressione sui mezzi di informazione così fastidiosa come quella che esercita questo governo. Neppure ai tempi di Berlusconi. Ora alimentano sulla rete una campagna sui vecchi che vogliono reimpadronirsi del partito". Eppure, D'Alema sostiene di non avere queste mire, perché "bisogna essere matti ad andare a gestire il Pd per come l’hanno ridotto" e si dice "solo preoccupato che questo gruppo di personaggi con alla testa Renzi porti la sinistra e il Paese in un vicolo cieco: se non cambiamo radicalmente direzione, mi pare segnata la via che conduce al ritorno della destra, o all’arrivo dei 5 Stelle".