Cuno Tarfusser: “La strage di Erba non c’entra con la mia candidatura, non posso andare a guardare i cantieri”

“Non potevo andare in pensione e poi andare a guardare i cantieri”: Cuno Tarfusser spiega a Fanpage.it perché ha deciso di candidarsi alle elezioni europee con Azione.
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Il suo nome è associato soprattutto alla discussa revisione del processo sulla strage di Erba. In realtà Cuno Tarfusser, prima di approdare alla Procura Generale di Milano, da cui ha fatto partire la richiesta di revisione, ha una lunga carriera di magistrato alle spalle, in particolare alla Corte penale internazionale. Ad agosto di quest'anno era già previsto che andasse in pensione, intanto ha deciso di candidarsi alle elezioni europee per il partito di Carlo Calenda. In un'intervista Fanpage.it spiega: "Ritengo uno spreco buttare via quarant'anni di esperienza di lavoro nella magistratura. Non potevo andare a guardare i cantieri".

Dottor Tarfusser, da cosa nasce la sua scelta di entrare in politica e candidarsi alle elezioni europee?

In realtà nasce dal fatto che mi è stato chiesto da chi, più o meno, rappresenta il mio pensiero politico: sono da sempre un liberaldemocratico, un socialdemocratico, sono fortissimamente europeista, e quindi ho accettato. Il secondo motivo è perché tra tre mesi sarei andato, e andrò, comunque in pensione come magistrato e ritengo uno spreco buttare via quarant'anni di esperienza di lavoro nella magistratura, se posso dire, a un certo livello. Ho fatto il procuratore della Repubblica, ho fatto il giudice alla Corte penale internazionale per undici anni. Questo patrimonio di conoscenza, che mi è stato dato dalla società, lo vorrei restituire alla società facendo qualcosa anche a livello politico.

Lei è diventato noto per la richiesta di revisione del processo sulla strage di Erba. Cosa risponde a chi ritiene che possa aver cavalcato l'onda mediatica di quel processo per poi aprirsi la strada alla politica?

Rispondo semplicemente che il mio è stato un dolo d'impeto: ho deciso di candidarmi circa 48 ore prima di annunciarlo, mi sono preso la riserva solo di parlare con mia moglie. Certamente un anno e due mesi fa, quando ho presentato la richiesta di revisione, le elezioni europee non passavano neanche per l'anticamera del mio cervello. Ognuno può dire quello che vuole, io sono a posto con me stesso.

Non è, però, il primo magistrato che decide di buttarsi in politica. Crede che ci sia un problema di magistrati che poi decidono di intraprendere la carriera politica o che, addirittura, lo fanno nel mentre della loro carriera?

Per quello che mi riguarda, io non parlo per altri, credo che non ci sia questo problema perché sono alla fine della mia carriera, quindi non riuscirò più a fare il magistrato. Credo che la politica la farei, semmai venissi eletto, a livello europeo, un mondo che conosco molto bene: conosco le organizzazioni internazionali, parlo quattro lingue. Tutte cose che che probabilmente sarebbero andate perse se non mi fossi candidato. Poi, se venissi eletto, come ho fatto per quarant'anni da magistrato continuerò a dare un servizio facendo politica.

A proposito dell'inchiesta sul dossieraggio a danno di vip e politici che ha coinvolto anche la Direzione Nazionale Antimafia, alcuni hanno posto l'accento sul fatto che ai vertici di quest'organizzazione si siano susseguiti due magistrati che poi sono stati candidati dal Partito Democratico e un altro magistrato che poi si è candidato con il Movimento cinque Stelle. Non crede che questa contiguità tra magistratura e politica finisca per prestare il fianco a critiche?

Oggi qualsiasi cosa viene sottoposta a critica: io in vita mia non ho mai espresso un'opinione politica, ho sempre fatto il magistrato. Oggi rispondo delle mie azioni, certamente non di quelle altrui su cui ognuno si fa l'idea che vuole. Non potevo andare in pensione e poi andare a guardare i cantieri.

Lei conosce la giustizia italiana e degli altri Paesi europei, proprio per le esperienze che ha avuto di carattere internazionale, quale pensa che siano i mali della giustizia italiana?

In questo momento il male principale della giustizia italiana è che è vecchia e obsoleta: tutti i tutti i nostri testi normativi fondamentali e i codici dell'ordinamento giudiziario sono firmati da Mussolini e dal Re Vittorio Emanuele, poi integrati, modificati e rattoppati da sentenze della Corte costituzionale. Questo ne fa un coacervo di norme che non hanno più la necessaria omogeneità e la necessaria semplicità. Credo che sarebbe veramente ora che, dopo quasi ottant'anni, l'Italia si desse un sistema giudiziario repubblicano.

Esiste invece secondo lei una vera giustizia europea?

No, non esiste ancora. Però certamente è in costruzione ed è anche questo un tema che vorrei portare avanti a livello europeo. Nel senso che esiste, sin dal 1999, il Consiglio europeo di Tampere, in Finlandia, che ha gettato le basi per una giurisdizione europea, creando quello che allora venne definito lo spazio giuridico unico europeo e che si fonda sostanzialmente sui comuni principi di diritto su cui si basano tutti i sistemi dei Paesi dell'Unione europea.

Questa base, fino al 2015 circa, ha avuto uno sviluppo anche abbastanza positivo, ma era ovviamente un cammino che non poteva concludersi nel giro di pochi anni: aveva una prospettiva di medio-lungo termine. Questo percorso è stato interrotto dai populismi, dai nazionalismi e dai regionalismi che a un certo punto hanno preso il sopravvento, anche a seguito delle forti migrazioni. Ora credo che sia veramente arrivata l'ora di riprendere questo cammino verso un'Europa federale che parli con un'unica voce.

Guardando ai conflitti che abbiamo davanti la nostra porta, capiamo che solo uniti possiamo fare qualcosa. Se ognuno si chiude nel suo guscio, evidentemente, verremo schiacciati. Economicamente da ovest degli Stati Uniti, da est dalla Cina, fortemente minacciati dalla Russia e probabilmente schiacciati anche dai Paesi emergenti che sono in forte avanzamento.

Con il rischio, e credo che questo sia il vero valore di queste elezioni, che l'Europa diventi un punto sull'Atlante, un posto dove si va a vedere le cose vecchie, dove si va a mangiare bene, dove ci sono alcune bellezze storiche, ma che sotto il profilo politico e geopolitico perda ogni significato, ogni influenza. Per questo credo che queste elezioni europee siano assolutamente cruciali per il futuro dell'Italia.

A prescindere da come finiranno le elezioni, la prima cosa che secondo me è fondamentale è la partecipazione democratica forte, perché solo un Paese democraticamente legittimato può elevare la sua voce nel consenso europeo. Poi, ovviamente, non possiamo mandare in Europa gente che non sa le lingue, che non sa bene dove sta Strasburgo e dove sta Bruxelles. Eppure di queste ce ne sono tante sulle liste. Credo che la qualità delle persone che vengono elette, per la loro storia, per la loro professionalità, per la loro affidabilità, sia una cosa altrettanto cruciale come la partecipazione al voto.

Lasciando un attimo da parte il tema giustizia, che è chiaramente quello più vicino a lei, quali saranno le altre istanze che vuole portare in sede europea?

Molto contiguo alla giustizia è il tema della sicurezza. Noi abbiamo dato per scontato che la pace fosse una cosa acquisita, poi abbiamo scoperto amaramente che non lo è.  La difesa dell'Europa è un qualcosa di importante, perché è difesa dalle minacce dall'esterno ma anche da quelle che provengono da una migrazione incontrollata e illegale. Anche questa va fermata o comunque rimessa in un'area di legalità. Fra giustizia e sicurezza credo che già abbiamo molto da fare.

Poi la tutela dei diritti umani: ho fatto per undici anni il giudice della Corte penale internazionale e credo che l'Europa debba rafforzarla necessariamente perché possa resistere agli attacchi da parte di chi non lo vuole, compresi gli americani.

Secondo lei l'attuale Governo italiano rispetta i diritti umani nella gestione dei migranti?

In molti casi non li rispetta, in altri evidentemente è costretto a rispettarli. Però tendenzialmente direi di no.

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