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Crotone, Italia: l’ennesimo naufragio di Stato

Decine di persone hanno perso la vita nell’ennesimo naufragio nel Mediterraneo. Nulla di cui stupirsi, in fondo è una scelta: depotenziato il soccorso dello Stato, criminalizzato e ostacolato quello delle Ong, abbiamo semplicemente messo in conto disastri del genere.
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Decine di persone hanno perso la vita nel naufragio di un barcone nel Mediterraneo. L’ennesimo, c’è da dire, con la sola differenza che stavolta ne siamo venuti a conoscenza. Infatti, agli uomini della Guardia di Finanza e dei Vigili del Fuoco è toccato recuperare cadaveri e naufraghi stremati a poche decine di metri dalla costa calabrese. Ma barconi e barchini riempiti all’inverosimile da trafficanti senza scrupoli partono continuamente dalle coste di Libia e Tunisia (o come in questo caso dalla Turchia), e spesso di uomini, donne e bambini non si ha più notizia: i più fortunati riescono a raggiungere la costa e fanno perdere le loro tracce, pochi vengono intercettati dalle ultime navi rimaste a fare attività di search and rescue, altri semplicemente vengono inghiottiti dal Mediterraneo.

Funziona così, le persone continuano a partire, spinte da ragioni più forti della paura di trovarsi in mezzo al mare su imbarcazioni insicure, senza una rotta, cibo o acqua. E continuano a morire, vittime di trafficanti senza coscienza, che speculano sulla speranza di una vita migliore, o anche semplicemente di una vita.

È così da anni, ormai. È la realtà dei fatti, che resiste alla propaganda e alle strumentalizzazioni della politica. Che, per la verità un risultato l'ha ottenuto: normalizzare episodi come questo, renderli sostanzialmente invisibili agli occhi dell'opinione pubblica, ormai assuefatta o comunque persuasa che non si possa fare diversamente. Salvo rare eccezioni, del resto, destra e sinistra si sono mosse nella stessa direzione, secondo un impianto concettuale e ideologico che ruota intorno ai soliti concetti: la responsabilità è solo dei trafficanti di morte, l'Europa non risponde in modo compatto, i regolamenti vanno cambiati, le Ong operano come taxi del mare e via discorrendo. Tra Minniti, Lamorgese e Piantedosi non ci sono differenze, solo sfumature: il processo di smantellamento della nostra capacità di search and rescue, i continui rimpalli di responsabilità con le autorità maltesi, la collaborazione con quelle libiche (senza alcuna garanzia sul rispetto dei diritti umani o controllo sull'efficacia degli interventi della cosiddetta Guardia Costiera), la criminalizzazione delle attività delle Ong grazie a una continua e costante campagna di disinformazione sul loro operato, i loro finanziatori e scopi (che si è giovata del supporto di media e politici di ogni schieramento, pronti a rilanciare qualunque balla senza scrupolo o verifica).

Ne abbiamo parlato spesso, ma davvero crediamo che nell'approccio dei governi italiani alla "questione Ong" si sia toccato il fondo. Non ci si è limitati alla costruzione di una narrazione mediatica che dà per scontato che le Ong svolgano la funzione di veri e propri "taxi del mare" (senza uno straccio di prove, ovviamente). Prima ci siamo messi a complicare le operazioni stesse di salvataggio, tenendo centinaia di persone in mare aperto per giorni prima di consentire gli sbarchi o ingaggiando ridicoli duelli con le autorità europee. Poi siamo passati direttamente a ostacolare il salvataggio, con normative e controlli sempre più stringenti (tra caos normativo e velleitari codici di autoregolamentazione), che hanno finito per scoraggiare gran parte degli operatori umanitari attivi nella zona. Siamo passati sopra convenzioni e trattati internazionali, ci siamo fatti beffe del diritto e abbiamo generato un numero enorme di controversie e polemiche.

Infine, il governo Meloni ha optato per il boicottaggio: costringere le navi delle Ong a percorrere centinaia di chilometri per raggiungere i porti di sbarco, in modo da ritardarne il ritorno nelle zone di search and rescue. Una scelta assurda e indecente, che non ha alcuna motivazione di carattere logico o strategico. È solo propaganda politica della peggior specie, proprio perché si basa su una scommessa cinica: mettere a registro un numero minore di sbarchi (da rivendere poi agli elettori), basandosi sulla tesi che la minor presenza di navi da soccorso nel Mediterraneo possa fungere da deterrente per le partenze. Il tutto, travestito da intervento di buonsenso quanto non addirittura umanitario. Lo abbiamo visto con le note di commento alla tragedia odierna. Da Meloni a Salvini, passando per il solito spiazzante Piantedosi, lo spin è lo stesso: è colpa dei trafficanti e di chi si mette in viaggio in queste condizioni, solo bloccando le partenze si fermeranno le morti in mare, dunque la linea del governo è quella giusta e non ci sarà nessun rafforzamento della nostra presenza nel Mediterraneo neanche in presenza di potenziali aumenti di flussi. Una lettura condivisa addirittura dal Presidente della Repubblica, che nel suo messaggio di cordoglio si limita a rilanciare le solite frasi fatte sull'eliminare le cause delle partenze (le guerre, la fame, la carestia… Facile, no?).

Il problema, lo ripetiamo, è che la realtà resiste alla propaganda. Che il pull factor sia una mezza bufala lo testimoniano gli aumenti degli sbarchi in questi mesi in cui Meloni e sodali stanno facendo il possibile per svuotare il Mediterraneo dalle ambulanze del mare. Uomini, donne e bambini continuano a scappare e a cercare di raggiungere le coste europee, lo fanno a prescindere dalle normative italiane e malgrado le indicibili sofferenze che incontrano sul loro cammino. È vero, non possiamo dire con certezza che la presenza massiccia di navi in grado di effettuare interventi di soccorso avrebbe evitato una tragedia del genere. Ed è anche vero che questa imbarcazione ha seguito una rotta "non coperta" solitamente dalle Ong. Ma ridurre al minimo la presenza di ambulanze significa accettare morti e tragedie, rassegnarsi a un destino ineluttabile solo per "mandare un messaggio", per giunta del tutto inefficace.

Così come si sono rivelate poco più che sbruffonate le azioni di Piantedosi&Co a livello internazionale: nei fatti, l'Italia avrà anche "alzato la voce" in Europa o aumentato la cooperazione con la Libia, ma non ha ricavato nulla, se non schermaglie diplomatiche con quelli che in teoria sarebbero i nostri partner principali. La scommessa, insomma, è ancora una volta persa. Costa centinaia, forse migliaia di vite, ma in fondo, a chi importa davvero?

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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