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Crollo Ponte Morandi, Autostrade sapeva i rischi ma non intervenne: scoperta mail del 2011

Nuove rivelazioni nel processo sul crollo del Ponte Morandi confermano che i difetti strutturali erano noti da anni. Una mail del 2011 dimostra che Autostrade per l’Italia era consapevole dei rischi sulla pila 9, ma non intervenne. I periti del tribunale ribadiscono che la tragedia del 14 agosto 2018, costata la vita a 43 persone, poteva essere evitata con controlli più accurati e interventi adeguati.
A cura di Francesca Moriero
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I test eseguiti negli anni da Autostrade per l'Italia sulla vicenda del Ponte Morandi si sono rivelati superficiali e inaffidabili, e i difetti di costruzione del Ponte Morandi si potevano e dovevano individuare con largo anticipo. A confermarlo una vecchia mail del 2011 che solo oggi, dimostrerebbe che la dirigenza di Autostrade era consapevole di gravi problemi strutturali sulla pila 9, il punto esatto da cui si è innescato il crollo che il 14 agosto 2018 ha causato la morte di 43 persone. Sono questi alcuni dei dati emersi nell'ultima udienza del processo in corso a Genova, dove i periti hanno ribadito che la corrosione dei tiranti era un problema noto e prevedibile.

I periti del tribunale, Paolo Rosati, Massimo Losa e Renzo Valentini, hanno presentato così un supplemento di perizia sulle cause del disastro, confermando che la manutenzione carente è stata la principale causa del crollo: i difensori degli imputati, tuttavia, sostengono che il viadotto fosse affetto da un "vizio occulto e non prevedibile" fin dalla sua inaugurazione. Il problema principale, secondo questa tesi, era che l'anima in acciaio dei tiranti era inglobata nel calcestruzzo, rendendo impossibile verificare dall'esterno il livello di corrosione.

La mail del 2011 e i segnali ignorati

Gli ingegneri hanno posto particolare attenzione su una comunicazione interna risalente al 28 febbraio 2011, inviata dall'ingegnere Massimo Meliani, che all'epoca era il responsabile tecnico del Primo Tronco di Genova di Autostrade, al collega Maurizio Ceneri, al tempo responsabile Spea, la società incaricata dei controlli. Meliani scriveva della necessità di una sperimentazione per individuare eventuali cavità nascoste nei piloni, facendo riferimento a difetti già riscontrati sulla pila 11.

"Ti volevo coinvolgere" scriveva Meliani a Ceneri "per un parere su una possibile sperimentazione in vista dell'ispezione ravvicinata sugli stralli (nome tecnico de i tiranti, ndr) che abbiamo programmato di ripetere quest’estate". L'ispezione doveva interessare i piloni 9, 10 e 11, e così proseguiva Meliani: "Meditavo sulla possibilità di evidenziare eventuali cavità nascoste nel getto, non superficiali come credo fosse quella a suo tempo trovata nella pila 11". Il pilone 11 fu l'unico sostegno che all'inizio del 1990 fu ispezionato a fondo, tanto che dopo aver verificato il degrado interno, si decise di installare rinforzi esterni.

Gli accertamenti previsti non furono però mai eseguiti.

Anomalie note da decenni

Le criticità del viadotto erano già state segnalate dallo stesso progettista, Riccardo Morandi, in una relazione del 1981, appena 15 anni dopo la costruzione: Morandi aveva evidenziato la presenza di umidità e salsedine nei tiranti di acciaio, che non erano completamente ricoperti dal cemento come previsto dal progetto originale. Nel 1992, la pila 11 era stata rinforzata con nuovi stralli in acciaio esterno, ma sulla pila 9, da cui si è poi originato il terribile crollo, non fu mai eseguito alcun intervento analogo.

Un disastro evitabile

I periti del tribunale ribadiscono che l'unico modo per individuare la corrosione sarebbe stato effettuare ispezioni visive con scassi e carotaggi, ma nonostante i segnali d'allarme e le richieste di approfondimento da parte di tecnici interni, nessuna verifica concreta è stata mai eseguita. Il processo in corso (bis) vede oggi imputate 58 persone tra dirigenti e tecnici di Autostrade, Spea e del Ministero dei Trasporti, accusati di negligenza e mancata prevenzione.

"Quanto è emerso in aula con le relazioni dei periti conferma che se gli imputati avessero fatto il loro lavoro i nostri familiari si sarebbero potuti salvare", ha dichiarato Egle Possetti, portavoce dei familiari delle vittime del Morandi, che ha voluto essere in aula nel primo giorno della ripresa del processo.

Su Mitelli ha poi dichiarato: "Lui era responsabile delle manutenzioni. Per noi lui è uno degli imputati, ovviamente, più importanti in questo procedimento. Io ho evitato di andare a vedere questa persona e spero che in qualche modo tutte le persone che poi alla fine risulteranno essere colpevoli di quello che è avvenuto possano avere un minimo un minimo di pentimento e possano capire in qualche modo, anche se abbiamo dei dubbi su questo, quello che stiamo passando quello che abbiamo passato e quello che passeremo".

L'ultima udienza ha confermato che il crollo del Ponte Morandi non fu un evento imprevedibile, ma la conseguenza di anni di superficialità, omissioni e scelte sbagliate.

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