"Se la maggioranza non c'è più, inutile accanirsi". Con queste parole, pronunciate nello studio di Fabio Fazio a "Che tempo che fa", il Ministro dell'Interno Roberto Maroni ha certificato lo stato (irreversibile?) di crisi in cui versa la maggioranza che sostiene il Governo guidato da Silvio Berlusconi. Una consapevolezza diffusa, stando ai bene informati, anche ai piani alti di Palazzo Chigi, con il Presidente del Consiglio che però resiste in maniera strenua anche al pressing dei fedelissimi Letta ed Alfano. Appare abbastanza evidente, in effetti, che la "maggioranza oceanica" di inizio legislatura si è ormai completamente dissolta e, nonostante gli ultimi (recenti, tra l'altro) tentativi di tappare le falle da parte di Cicchitto e compagni, alla Camera i numeri sembrano parlare in maniera inequivocabile.
Una situazione che già domani, con il voto sul rendiconto di bilancio, potrebbe palesarsi in tutta la sua "drammaticità", rendendo di fatto inutile persino il ricorso alla mozione di sfiducia da parte delle opposizioni. Dal canto suo però, il Cavaliere continua a rifiutare l'ipotesi delle dimissioni, convinto magari di poter "sopravvivere" ai prossimi passaggi parlamentari e pronto a presentarsi come "martire di congiure di palazzo e ribaltoni da Prima Repubblica" davanti al proprio elettorato. E' evidente però che le cose stanno in maniera alquanto diversa, anche per quanto riguarda la credibilità complessiva del nostro Paese nel consesso internazionale, precipitata ai minimi storici dopo i duri attacchi della stampa internazionale ed il nuovo commissariamento da parte dei vertici del Fmi.
Un quadro estremamente chiaro anche al Presidente della Repubblica, il quale dopo la serie di "consultazioni informali", sta cercando una "via d'uscita morbida ma tutt'altro che semplice" ad una crisi senza precedenti. Ed in effetti, a considerare bene gli schieramenti e le spinte contrapposte, la questione appare tutt'altro che semplice, anche in virtù della grave crisi economica che attraversa il nostro Paese. Con un po' di sforzo abbiamo immaginato 6 soluzioni alternative, ipotizzandone anche la "probabilità di successo":
RESISTERE, RESISTERE, RESISTERE (ovvero Silvio Berlusconi ancora al timone) – 10%: Per quanto sembri una eventualità remota, non è del tutto escluso che il cavaliere opti per una vera e propria prova di forza, cercando all'interno dell'emiciclo nuovi consensi e facendo pressione sugli "scontenti" affinchè garantiscano il loro appoggio "almeno temporaneamente". Una prospettiva che non entusiasma neanche i suoi fedelissimi, ma che rebus sic stantibus (ovvero con le beghe giudiziarie in corso e la grande incertezza sugli equilibri interni al partito), non è da accantonare con leggerezza.
IL PASSAGGIO DI CONSEGNE (ovvero il fido Gianni Letta alla Presidenza del Consiglio) – 5%: Di Gianni Letta si parla spesso come l'uomo della provvidenza in casa berlusconiana, proprio per la sua consuetudine a risolvere situazioni estremamente delicate ed indirizzare l'amico di sempre in maniera discreta ma incisiva al tempo stesso. E' evidente che Letta non si tirerebbe indietro di fronte alla possibilità di guidare il Paese verso una transizione morbida, ma al momento tale eventualità appare davvero poco probabile, considerando che l'opposizione difficilmente accetterebbe di sostenerlo in Parlamento (i ben informati non hanno mancato di sottolineare il fatto che nei mesi scorsi sia spesso stato tirato in ballo nelle inchieste sulla P4, ovviamente senza che fosse riscontrato un suo coinvolgimento diretto).
LA SOLUZIONE ISTITUZIONALE (ovvero Renato Schifani) 15% – Se davvero il Presidente del Consiglio accettasse di farsi da parte, pretenderebbe almeno un "uomo di garanzia" al suo posto. Dunque, chi meglio di Renato Schifani, Presidente del Senato, ma in passato portavoce e poi capogruppo di Forza Italia al Senato? Su Schifani, a certe condizioni e con scadenze ben definite, potrebbero convergere anche i centristi dell'Unione di Centro, anche se una simile scelta sarebbe invisa all'opposizione "democratica" che ha dimostrato di non apprezzare la "reggenza al Senato" dell'ex democristiano, in particolar modo durante la discussione sulla Riforma Gelmini dello scorso autunno.
IL GOVERNO TECNICO (Mario Monti, in pratica un commissario) 25% – Se ci trovassimo in un qualsiasi altro Paese, probabilmente quella del governo tecnico sarebbe la strada intrapresa senza neanche tante discussioni. Un esecutivo che applichi in maniera rigida le direttive europee (e del Fondo Monetario Internazionale), ridia credibilità alla nazione nel consesso internazionale e di fronte ai mercati e non da ultimo si concentri nella stesura di una nuova legge elettorale. In pratica un traghettatore che consenta di uscire dall'emergenza e prepari la strada alle elezioni nel 2013 (al termine del mandato dunque). Ovviamente, precondizione irrinunciabile è la coesione di tutte le forze politiche e la condivisione di alcuni punti programmatici. E già tanto basterebbe a frenare il progetto, figuriamoci se a ciò si sommano le perplessità del Cavaliere sul nome più adatto all'incarico, quel Mario Monti, da lui considerato la vera "regia occulta" della crisi della maggioranza.
LA RESPONSABILITA' NAZIONALE (ovvero l'uomo della Provvidenza) 15% – Senza scendere nel dettaglio, a sparigliare le carte in tavola potrebbe essere proprio l'idea di un Governo di responsabilità nazionale (o di Unità nazionale, per citare Casini), guidato da una personalità di grande carisma e di comprovata equidistanza. Rispetto al Governo tecnico le differenze sarebbero sostanziali, poiché si prospetterebbe comunque il ricorso alle urne nel 2012 e la conduzione dovrebbe essere emintemente "politica" (con un prevedibile rimpasto ed una nuova "definizione degli equilibri" che preveda anche l'emarginazione della Lega e la convergenza tra Pd, Pdl ed Udc). Inutile dire che gli ostacoli sono enormi, anche nell'assenza della "figura di garanzia".
ELEZIONI SUBITO (ovvero il modello spagnolo) 30% – Al momento la prospettiva più plausibile è quella di un ritorno immediato alle urne. L'enorme distanza fra gli schieramenti, l'ostinazione del Cavaliere, le pressioni della base elettorale di Lega Nord e parte del Partito Democratico, le perplessità internazionali e l'esempio spagnolo (dove i mercati hanno mostrato di "apprezzare" la scelta di zapatero di rimettere il mandato nella mani degli elettori): tutti fattori che sembrano spingere verso questa possibilità, che però trova contrario in primis il Presidente della Repubblica, preoccupato da un clima di grande incertezza e tensione sociale. A rappresentare un ostacolo sono però anche i tempi tecnici, con le eventuali dimissioni (o sfiducia), seguite da consultazioni lunghe e complesse che potrebbero far slittare la verifica elettorale a gennaio, con tutte le perplessità del caso.