Era tutto scritto, in fondo, dal giorno in cui Luigi Di Maio e il Movimento Cinque Stelle hanno separato i loro destini, tre settimane fa, all’inizio di questa torrida estate. O forse ancora prima, nel giorno in cui il Parlamento ha rieletto Sergio Mattarella presidente della Repubblica, inaugurando l'inizio della fine di questa folle legislatura. O forse prima ancora, era già scritto nel ciclo di vita dei governi tecnici di larghe intese – una specialità doc della politica italiana – sul cui carro salgono tutti quando nascono e dal cui carro scendono uno alla volta man mano che si avvicina la scadenza elettorale.
Era tutto scritto, e puntualmente è successo. Giuseppe Conte e il Movimento Cinque Stelle hanno deciso di non votare la fiducia al Dl Aiuti e di mettere in discussione la loro presenza nella maggioranza che sostiene il governo Draghi. E forse sono già scritte pure tutte le mosse successive. O tutti i bluff, se preferite. Quella del Partito Democratico, che annuncia baldanzoso che l’unica alternativa a Draghi è il voto, e che finirà per rimettersi a tutto quel che deciderà Mattarella. Quella di Mario Draghi, secondo cui non esiste governo senza Cinque Stelle, che probabilmente non vede l’ora di tornare a Città della Pieve, a cui invece tutti chiederanno di gestire la tempesta in nome e per conto del Quirinale e dei mercati spaventati dall’instabilità del nostro sistema politico, e del nostro debito pubblico. Quella di Matteo Salvini, che ora ha in mano il cerino che può definitivamente incenerire l’esecutivo e che si trova preso in mezzo tra le pressioni dell’ala governata della Lega, quella del ministro Giorgetti e dei governatori del Nord e la tentazione di uscire pure lui dal gruppo per frenare l’emorragia di consensi verso Giorgia Meloni.
Già, Giorgia Meloni. Forse era scritto pure quello, fin dal momento in cui Fratelli d’Italia e la sua leader hanno deciso di non sostenere il governo Draghi e di non far parte delle larghissime intese. Forse era già scritto che avrebbero drenato tutto il dissenso montante nel Paese dopo due anni di pandemia e di restrizioni. E che avrebbero beneficiato di ogni fibrillazione in seno alla maggioranza e di ogni giravolta tattica dei leader politici che hanno deciso di sostenerla.
E così accadrà, probabilmente. Se cadrà il governo, si andrà a votare in autunno come Meloni vuole, e potrà andarci sulle ali di una vittoria politica e di sondaggi che la danno saldamente in testa. Se il governo rimarrà in piedi, ancor più travicello di quanto già non lo sia oggi, Meloni potrà rosolarlo a fuoco lento ancora un po’, in una fase in cui di certo non pioveranno soldi e benessere dalla cornucopia per gli italiani, spaventati dalla crisi energetica, dall’aumento dei prezzi e da nuove ondate pandemiche che già si stagliano all’orizzonte.
Forse è già scritto pure il finale, insomma. E più tutti si agitano per provare a cambiarlo, più concorrono ad avverarlo.