Crisi di governo, perché Draghi è salito al Colle anche se ha ottenuto la fiducia in Senato
Il governo Draghi ha ottenuto la fiducia sul decreto Aiuti, che è passato ed è diventato legge. I voti a favore sono stati 172, i voti contrari 39. I partecipanti al voto sono stati 212, i votanti 211. I 61 senatori del gruppo M5s, come avevano annunciato in dichiarazione di voto, non hanno partecipato al voto. Ma nonostante la fiducia ottenuta il presidente del Consiglio Mario Draghi ha lasciato Palazzo Chigi e si è recato al Colle. Perché? Lo abbiamo chiesto al deputato e costituzionalista Stefano Ceccanti (Pd).
"Dopo il voto in Senato la palla passa politicamente nelle mani del presidente del Consiglio, perché da un punto di vita costituzionale ha messo la fiducia sul provvedimento e l'ha ottenuta", ha spiegato il parlamentare dem. "Costituzionalmente potrebbe anche non succedere nulla, ma è avvenuto un fatto politico, una forza della maggioranza non ha votato la fiducia, e quindi non può che esserci una reazione politica. Quindi il presidente del Consiglio è andato dal presidente della Repubblica per dimettersi. Da lì in poi non possiamo conoscere quale sarà il dialogo tra Draghi e Mattarella. Però la soluzione più fisiologica, dal momento che il presidente del Consiglio non è stato battuto in Aula, è che Draghi torni in Senato per verificare se la maggioranza c'è ancora, per il programma e per le cose da fare fino a fine legislatura".
Dal punto di vista formale Draghi non sarebbe costretto a verificare l'esistenza della maggioranza anche alla Camera: "Forse potrebbe bastare anche solo il Senato, perché il problema si è aperto lì. Dipende dalla valutazione che faranno insieme il presidente del Consiglio e il Presidente della Repubblica". Se dovesse dare le dimissioni a quel punto Mattarella sarebbe costretto ad accettarle? "Se il presidente del Consiglio si vuole dimettere non è che si può obbligare a proseguire. Non accettare le dimissioni vorrebbe dire andare avanti facendo finta di niente, non sarebbe uno scenario plausibile".
Il Consiglio dei ministri previsto per le 15:30, dove presumibilmente sarebbero state annunciate le dimissioni, è saltato, e Draghi è salito direttamente al Colle. Lo scenario più probabile ora è una "parlamentarizzazione" della crisi: "Significa appunto che Draghi andrà in Senato per verificare se ci sono i voti sul programma di fine legislatura. Se dovessero esserci i voti, e quindi se il M5s dovesse confermare la fiducia all'esecutivo, formalmente il governo potrebbe andare avanti. Ci potrebbero essere due strade: o il governo ottiene la fiducia con i 5 Stelle o la ottiene senza, bisogna vedere cosa succede. Fin qui Draghi aveva dichiarato che senza il M5s il governo non poteva continuare, non sappiamo se confermerà questo orientamento. Oggi ci possiamo limitare a osservare quali conseguenze politiche trae lui, poi valutiamo un passo alla volta. Possiamo solo dire che visto che il governo oggi non è stato battuto la cosa più fisiologica è tornare in Aula e verificare che tipo di maggioranza c'è ancora. Vedremo se il Presidente Mattarella sarà d'accordo". La verifica potrebbe essere fatta anche la prossima settimana, non nell'immediato, "in modo da lasciare il tempo al presidente Draghi di preparare magari un discorso con il programma di fine legislatura, e ai partiti di prendere le loro decisioni", ha spiegato ancora Ceccanti.
Come ha detto anche il segretario del Pd Enrico Letta, la decisione del M5s di non votare oggi la fiducia sul decreto Aiuti segna uno spartiacque: "Oggi le nostre strade si sono divaricate, il M5s non ha votato la fiducia e il Pd l'ha votata, è un evento politicamente rilevante. Vedremo se le nostre strade si riavvicineranno oppure no".
Il ministro per i Rapporti con il Parlamento Federico D'Incà (M5s) aveva tentato questa mattina una soluzione in extremis, per evitare che venisse posta la questione di fiducia sul decreto. Ma il presidente Draghi alla fine ha deciso diversamente: "L'unica strada percorribile era questa, per evitare che si creasse un precedente: se ogni gruppo della maggioranza dicesse che non bisogna mettere la fiducia su un provvedimento, perché non intende votarla, la navigazione del governo diventerebbe impossibile per il futuro".