Il 20 agosto, finalmente, il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte si recherà in Parlamento per un confronto sugli eventi di queste ultime due settimane. Formalmente si tratterà di comunicazioni, politicamente sarà un ulteriore passaggio della parlamentarizzazione della crisi di governo, dopo che l’Aula del Senato ha respinto le diverse ipotesi di calendarizzazione della mozione di sfiducia presentata dalla Lega. Ci sono diverse ipotesi su quali potrebbero essere i contenuti del discorso del Presidente del Consiglio, ma soprattutto sui diversi scenari che si prospettano nelle ore immediatamente successive alla discussione parlamentare. Proviamo a capirci qualcosa in più, anche alla luce delle dichiarazioni odierne e del clima che si respira nei palazzi della politica.
L’unica certezza è che il Presidente del Consiglio farà un discorso durissimo nei confronti della scelta di Matteo Salvini di aprire una crisi con queste motivazioni e queste tempistiche. Conte rivendicherà il lavoro fatto in questi mesi e stigmatizzerà duramente le modalità con cui il ministro dell’Interno ha messo fine all’alleanza con il Movimento 5 Stelle sancendo così la fine di un intero ciclo politico. Poi spiegherà agli italiani i pericoli derivanti da una mossa irresponsabile, che potrebbe determinare l’aumento automatico dell’IVA, dal momento che in caso di esercizio provvisorio si applicherebbero automaticamente le linee di bilancio del Documento di Economia e Finanza (che porterebbero anche a un contingentamento della spesa pubblica).
Più complesso immaginare invece cosa farà subito dopo. Molto dipenderà dal dibattito in Aula, da cosa dirà Salvini e da che tipo di mozione verrà presentata dal Movimento 5 Stelle.
Le dimissioni di Giuseppe Conte
Alcuni analisti sostengono che, subito dopo aver reso dichiarazioni in Aula del Senato, Conte possa salire al Quirinale per rassegnare le proprie dimissioni nelle mani del Presidente della Repubblica. Si tratterebbe di un passaggio tutto sommato lineare, dal momento che l’accordo Lega – Movimento 5 Stelle poggiava su un patto politico, venuto meno il quale non sussistono le condizioni per andare avanti, a prescindere dalla possibilità di superare in qualche modo un eventuale voto sulla sfiducia in Parlamento. Il rapporto fiduciario tra grillini e leghisti è infatti irrimediabilmente compromesso, come ribadito dopo il vertice di Marina di Bibbona, dunque anche un approccio morbido dei leghisti in Aula non dovrebbe modificare l’orientamento di Conte.
C’è però un grosso ostacolo rispetto alla scelta di dimettersi immediatamente. Il 22 è infatti in calendario alla Camera dei deputati la quarta e ultima votazione sul ddl costituzionale Fraccaro che prevede il taglio di 345 parlamentari. Si tratta di un provvedimento carissimo al Movimento 5 Stelle, agitato come un feticcio nelle fasi più calde della crisi, fino a diventare la “priorità assoluta” e la ragione principale per far proseguire la legislatura. Se Conte si dimettesse, il calendario di Camera e Senato sarebbe annullato, dunque salterebbe il voto decisivo.
Conte potrebbe posticipare la data delle dimissioni per permettere al Parlamento di votare il ddl Fraccaro per l’ultima volta? Non è così semplice, per alcune ragioni di una certa rilevanza. In primo luogo si tratterebbe, certo indirettamente, di una forma di ingerenza dell’esecutivo in una materia strettamente parlamentare (e una delle critiche maggiori rivolte ai renziani nella passata legislatura verteva proprio sul come il governo avesse esautorato le Camere nella discussione del ddl costituzionale Renzi – Boschi). In seconda battuta, sul ddl Fraccaro le posizioni di PD e 5 Stelle sono molto diverse e i democratici hanno votato no per tre volte al taglio di deputati e senatori. Un voto discorde (su un argomento così rilevante) alla vigilia di un percorso di governo comune non è il massimo e il tempo per stipulare un accordo serio sul punto in questione sembra non esserci. Anche perché Lega e Fratelli d’Italia potrebbero decidere di non regalare un formidabile strumento di propaganda ai 5 Stelle, proprio nel momento in cui si apprestano a cambiare cavallo per restare alla guida del Paese. Assenze, tatticismi e manovrine potrebbero affossare la riforma “vincolante” per la prosecuzione della legislatura, insomma.
Lega e Movimento 5 Stelle di nuovo insieme?
La partita ruota intorno alle mozioni che saranno presentate al Senato. Secondo alcuni rumors, il Movimento 5 Stelle parrebbe orientato a presentare una mozione a sostegno di Giuseppe Conte. La scelta è rischiosa, perché potrebbe avere conseguenze non di poco conto e influenzare il percorso delle prossime settimane. Mettiamo il caso che nessun altro gruppo parlamentare votasse la mozione grillina, Conte si troverebbe plasticamente di fronte all’assenza di maggioranza e dunque non avrebbe altra alternativa che salire al Colle in tempi rapidi. E salterebbe il voto sulla Fraccaro.
Se la Lega poi decidesse di votare la mozione a sostegno di Conte, magari insistendo sul merito dell’operato del governo, ci troveremmo di fronte al paradosso totale e la crisi dovrebbe giocoforza rientrare, dopo due settimane di insulti e accuse reciproche. A quel punto, il M5s dovrebbe rompere direttamente con Salvini e si ribalterebbe la "responsabilità" su chi abbia voluto la caduta del governo. Infine, se il PD non votasse la mozione, come molto probabile, l’ipotesi di un Conte bis “giallorosso” sarebbe bruciata.
Insomma, i 5 Stelle potrebbero anche non presentare alcuna risoluzione e l’intero Parlamento si ritroverebbe a “congelare” le valutazioni per qualche altro giorno, in attesa che i pontieri M5s – PD portino a buon punto il lavoro (che è appena cominciato) e “diano il via libera” alle dimissioni di Conte o al voto di sfiducia chiesto da Salvini (che è il vero assente di questo passaggio politico, per quanto incredibile possa sembrare). Con l'ok alla Fraccaro, poi, la possibilità di tornare al voto sarebbe "naturalmente congelata" in attesa del referendum. Tempo, insomma, la cosa più preziosa che i parlamentari possano ottenere.