Le dimissioni di Giuseppe Conte da Presidente del Consiglio aprono ufficialmente la crisi di governo e mettono fine all’esperienza dell’alleanza fra la Lega di Matteo Salvini e il Movimento 5 Stelle di Luigi Di Maio. A questo punto la palla passa al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che, dopo il colloquio con Conte, avvierà le consultazioni, cominciando come sempre dai Presidenti di Camera e Senato e proseguendo con i gruppi parlamentari. Nel frattempo, il governo resta in carica per gli affari correnti, dunque, se non si dimettesse, Salvini resterebbe ministro dell'Interno. A differenza di quanto avvenuto dopo le politiche del 2018, le consultazioni dovranno necessariamente essere più rapide, considerando le incombenze di carattere finanziario e alcune delicate questioni internazionali sul tavolo. E considerando che le posizioni sembrano abbastanza delineate, salvo sorprese dell’ultim’ora.
Il discorso di Conte al Senato ha formalizzato la distanza con la Lega di Matteo Salvini e chiarito quanto siano stretti margini per una ricomposizione dell’asse costruito dopo le politiche del 4 marzo 2018. Stretti per non dire inesistenti, almeno in questa fase. Da giorni si discute sulla possibilità di una nuova maggioranza, come opzione alternativa al ritorno immediato al voto chiesto dalla Lega e da Fratelli d’Italia. I numeri in Parlamento mostrano come ogni percorso verso la formazione di una nuova maggioranza sia complesso e come un nuovo esecutivo debba necessariamente negoziare la sua nascita con diversi soggetti, anche non direttamente riferibili ai gruppi parlamentari già costituiti.
Cominciamo con il considerare quali siano gli attuali numeri di cui dispongono i gruppi parlamentari. Partiamo dalla Camera dei deputati: il Movimento 5 Stelle ha 216 deputati, il Partito Democratico ne ha 111, La Lega 125, Forza Italia 104, Fratelli d’Italia 33, Liberi e Uguali 14, il gruppo Misto ne conta 27. Al Senato la situazione è ancora più complessa: il M5s ha 107 senatori, Forza Italia 62, la Lega 58, il PD 51, Fratelli d’Italia 18, il Misto 11 e il gruppo Autonomie 8.
Il governo di scopo
Una delle ipotesi in campo è quella di un governo di scopo, cioè un esecutivo di breve durata che abbia il compito di fare la legge di bilancio, di impedire l’aumento dell’IVA e di completare il percorso di riforma costituzionale col ddl Fraccaro. Un governo con un mandato limitato nei contenuti e nel tempo, che riporti il Paese al voto dopo il referendum sulla riforma della Costituzione, probabilmente non oltre giugno 2020. Tale scenario non convince molto il Partito Democratico, che peraltro si troverebbe in una posizione sconveniente sul ddl Fraccaro ed è difficile che a guidarlo possa essere Giuseppe Conte (più probabile che Mattarella proponga un tecnico).
Il governo "istituzionale" (o di legislatura PD – M5s)
È la soluzione caldeggiata da parte del Movimento 5 Stelle e dal PD renziano: un governo che nasca da un accordo politico e che non abbia altra scadenza se non quella naturale della legislatura. L’obiettivo, nemmeno troppo nascosto, è arrivare al 2022 con questa configurazione, per eleggere il nuovo Presidente della Repubblica (e già è in campo l’ipotesi del Mattarella bis). A guidarlo un nome autorevole, ben visto sia dai 5 Stelle che da PD, con la candidatura di Giuseppe Conte che potrebbe essere ripescata solo a determinate condizioni. La squadra di governo dovrebbe essere costituita da personalità di alto livello, strettamente “politiche” e in grado di garantire quella discontinuità dall’esecutivo precedente che i democratici considerano necessaria.
Ci sono però da superare diversi ostacoli. In primo luogo i numeri in Parlamento non sono rassicuranti e al Senato potrebbero essere decisivi gli orientamenti nel gruppo Misto e in quello Autonomie (al momento orientati per la prosecuzione della legislatura). Poi c’è da convincere Zingaretti e una parte dei parlamentari del Partito Democratico, che temono di regalare ai renziani il ruolo di “ago della bilancia” negli equilibri futuri dell’esecutivo. L’ex Presidente del Consiglio, che ha sparigliato il tavolo avanzando l’ipotesi di accordo coi grillini prima della riunione del gruppo democratico, ha già detto di voler restare fuori dal futuro governo, ma si è riservato la possibilità di “tirare le somme” dell’accordo nell’edizione di quest’anno della Leopolda. Potendo contare su una nutrita pattuglia di deputati e senatori (rispettivamente 60 e 35 secondo alcune ricostruzioni), Renzi potrebbe anche formare un gruppo autonomo e “far pesare” il suo appoggio all’esecutivo, con la possibilità di decretarne anche l’eventuale caduta. Infine c’è l’incognita “tempo”, poco, pochissimo per gettare le basi di un accordo di programma coi 5 Stelle.
La coalizione Ursula
Questa ipotesi, abbastanza remota, prevede la partecipazione di Forza Italia al governo Pd – M5s – altri. Berlusconi dovrebbe mollare Salvini e contribuire a stabilizzare il governo coi numeri di FI in Parlamento: un gesto che potrebbe però produrre una ulteriore scissione in Forza Italia, da tempo oggetto di un fenomeno di “salvinizzazione interna” e scossa da una ampia riflessione sulla piattaforma politica e ideologica. Difficile anche che il M5s accetti di sedersi direttamente al tavolo con Berlusconi, come avvenuto già nel post politiche del 2018.
Elezioni subito
Le chiedono Matteo Salvini e Giorgia Meloni, per il momento con il sostegno di Silvio Berlusconi. Anche alcune voci nel PD (come Calenda) propendono per tale scelta, nonostante i sondaggi sembrino unanimi nell'assegnare al centrodestra la certezza di una vittoria schiacciante. Le tempistiche però non giocano a favore di tale possibilità, dal momento che la consultazione si terrebbe in pieno autunno, incrociandosi con il percorso della legge di bilancio. Come vi raccontavamo qui si rischierebbe l'aumento dell'IVA e l'esercizio provvisorio, con il contingentamento della spesa pubblica. Difficile che Mattarella possa compiere un passo del genere.