Se pensate che questo sia un pezzo allarmista o catastrofista allora è proprio il caso che lo leggiate, perché, per quanto ci dispiaccia, non è ancora il tempo delle buone notizie. Come ha spiegato il professor Galli in questa intervista che vi consiglio di leggere, il peggioramento dei dati, l’aumento del numero di contagiati e i cambiamenti nelle modalità di diffusione del virus sono dei dati di fatto, non il risultato delle previsioni di “qualche perverso virologo che vuole stabilire la dittatura sanitaria” o dei giornalisti allarmisti e al soldo di non si sa bene chi. La pandemia non è affatto sotto controllo a livello globale e le cose andranno molto peggio prima di andare meglio. E sarebbe il caso di averne consapevolezza per non peggiorare ulteriormente un quadro che è già a tinte molto fosche.
Da settimane analisti e studiosi segnalano trend di crescita di contagi e morti praticamente ovunque, con il totale delle vittime che oggi raggiungerà i 2 milioni. Ci sono nazioni in cui la pandemia è fuori controllo e altre in cui rischia di esserlo a breve. Solo per capire di cosa stiamo parlando, questo è il trend di crescita (nuovi casi e morti giornaliere):
La situazione del coronavirus in Italia
In Italia la situazione non è molto diversa. O meglio, è diversa ora, e questo è un problema enorme. Tra farneticazioni sulle zone bianche, riapertura dei musei e la conferma di un sistema a fasce che si è dimostrato pieno di falle e ricco di scappatoie per chi volesse aggirare le regole, la sensazione è che non ci stiamo accorgendo dello tsunami che rischia di abbattersi sul nostro Paese, né stiamo facendo il possibile per limitare i danni.
L'ISS nell’ultimo monitoraggio segnala “il peggioramento generale della situazione epidemiologica nel Paese già osservato la settimana precedente” e soprattutto “un aumento complessivo del rischio di una epidemia non controllata e non gestibile nel Paese dovuto ad un aumento diffuso della probabilità di trasmissione di SARS-CoV-2 in un contesto in cui l'impatto sui servizi assistenziali rimane alto nella maggior parte delle Regioni/PPAA”. L’indice Rt è in costante aumento, non c’è alcuna Regione o Provincia Autonoma a rischio basso, il tasso di occupazione in terapia intensiva a livello nazionale continua a essere sopra la soglia critica (30%) e non c’è possibilità di un ritorno a “livelli che permetterebbero il completo ripristino dell'identificazione dei casi e tracciamento dei loro contatti”.
Un quadro di sofferenza dei servizi sanitari, con oltre 560mila attualmente positivi, circa 23mila ricoverati con sintomi, 2500 persone in terapia intensiva, che è destinato a peggiorare in ogni caso, come spiegano virologi ed epidemiologi. E ancora dobbiamo fare i conti con la cosiddetta variante inglese (a proposito, ma la stiamo cercando?), che dovrebbe indurci a scelte molto più nette e magari anche alla modifica di alcune abitudini consolidate (utilizzo di mascherine più performanti, maggior ricorso al telelavoro, drastica riduzione della mobilità).
L'incubo variante inglese
L’epidemiologo Eric Feigl-Ding, con rara capacità di sintesi, restituisce un’idea piuttosto chiara di cosa ci aspetta: “O stronchiamo il virus ora, oppure siamo fottuti”. Tale considerazione è basata su diversi studi e in particolare su quello del CDC danese, secondo cui è fondamentale abbassare la curva epidemica il più velocemente possibile per portare R a un valore “significativamente inferiore a 1”, prima che il ceppo B.1.1.7 diventi dominante in tutta Europa. Il ragionamento è abbastanza semplice e ruota intorno alla maggiore contagiosità delle varianti del SarsCov2, in particolare quella inglese: stimando in un intervallo +0,4/+0,7 l’aumento di R a causa della diffusione della nuova variante inglese, ci ritroveremmo completamente esposti alla circolazione del virus. Semplificando:
OMS spiega come questa sia una “situazione allarmante”, che implica la necessità di fare “più di quanto fatto finora" per intensificare le strutture sanitarie e le misure sociali che possono modellare la curva dei contagi. Farlo adesso per mettere in sicurezza la campagna vaccinale, salvare decine di migliaia di vite e anche limitare i danni al sistema socio-economico.
Il fatto che la nuova variante abbia una contagiosità maggiore fino al 60% (la stima è 40%/80%, i primi riscontri in UK sono di circa il 50%) determina una serie di problematiche che forse non stiamo ancora valutando con la dovuta serietà. Sempre Feigl-Digl fa qualche calcolo per aiutarci a comprendere lo stato delle cose: supponendo di avere 1000 casi al giorno, allo stato attuale sappiamo che con un R=0,86 riusciremmo a raggiungere i 500 casi al giorno entro due settimane; l’impatto della variante inglese, portando un aumento fino al 60% dell’indice R, determinerebbe invece il raggiungimento di 3000 casi al giorno in due settimane. Questo comporterebbe anche l’obsolescenza dei modelli che abbiamo messo in campo fin qui per contrastare la diffusione del virus (lockdown leggeri o mirati, divisione per fasce, scuole in parte aperte), rendendo efficaci solo le misure più drastiche e costringendoci a ricalibrare tutti i piani di contenimento o azzeramento dei contagi.
L'epidemiologo Adam Kucharsky va oltre e illustra perché una variante che determina una trasmissibilità maggiore è paradossalmente più pericolosa di una che presenta una letalità maggiore. Supponendo di avere un R=1.1, con indice di letalità allo 0,8%, con un bacino di 10mila persone infettate e un tempo di contagio di 6 giorni, la stima mensile di decessi sarebbe di circa 130; un virus più letale del 50% ne determinerebbe circa 190, mentre uno più contagioso del 50% (come il B117) ne causerebbe addirittura 980. I calcoli più precisi sono in questo thread su twitter, il senso profondo è sempre lo stesso: la crescita esponenziale è sempre più deleteria di quella lineare.
Tomas Pueyo aveva già provato a fare due calcoli, sulla base di semplici considerazioni di statistica ed epidemiologia, giungendo più o meno alle stesse conclusioni. E aggiungendo un ulteriore elemento di preoccupazione relativamente al tempo che si renderebbe necessario per giungere all’immunità di gregge. In sostanza, spiegava, la maggiore contagiosità della variante inglese potrebbe aver già bruciato i progressi fatti da alcune nazioni e dilatato i tempi del raggiungimento dell’immunità di gregge per il tramite della vaccinazione: “Dobbiamo passare dall’immunizzare il 60% della popolazione (con vaccini o guarigioni) al 75%-80%, il che comporta anche un ritardo nel raggiungimento dell’immunità di gregge in quelle nazioni che hanno già sperimentato un alto numero di infezioni. […] Di conseguenza, si allungherebbero anche i tempi per il raggiungimento dell’immunità tramite vaccini, che richiederà un numero più alto di persone vaccinate”.
Lo stesso professor Crisanti ricordava come se si alzasse l'R0 (nel caso della variante inglese non è un "se" ma un "di quanto") salirebbe anche la soglia per il raggiungimento dell'immunità di gregge. Se tale soglia dovesse salire oltre l'80%, per effetto anche della percentuale di efficacia dei vaccini, si renderebbe necessario vaccinare praticamente la totalità della popolazione, dunque non si potrebbe far altro che imporre l'obbligatorietà della vaccinazione.
Prepararsi al peggiore scenario possibile
Certo, l’avvio della campagna vaccinale è innegabilmente la notizia migliore in cui potessimo sperare, purché si abbia la lucidità per non perdere di vista la situazione presente. E i prossimi saranno mesi terribili, l'inverno è ancora lunghissimo e la prevalenza della variante B.1.1.7 ci pone di fronte a una sfida titanica: tenere basso il numero dei contagi con un virus 40%/80% più contagioso. Il fisico Eric Topol rende perfettamente l'idea della portata della sfida che ci attende.
La domanda che dovremmo porci è: in Italia possiamo pensare di gestire questa situazione con le modalità adottate finora, che hanno funzionato solo in parte? Il professor Galli non ha dubbi: “Quanto fatto finora non ha funzionato. Essere fuggiti troppo presto da restrizioni maggiori, per passare a quelle minori, ha prodotto i risultati che vediamo. Il virus non sta fermo, cammina con le gambe delle persone. L'ultima variante che circola è peggio delle altre. È inutile girarci attorno. Le mascherine da sole non bastano se si creano affollamenti. L'infezione gira lo stesso, lo dicono i fatti. Chiudere molto, diagnosticare molto, vaccinare molto così in un periodo breve gli diamo una grossa botta. Tamponi, chiusure, vaccini: altre ricette non ne ho”. Andrea Crisanti è sulla stessa linea e aggiunge un elemento di ulteriore preoccupazione: “Bisogna abbattere la trasmissione, non è mai accaduto nella storia che si vaccinasse in un periodo di alta trasmissione, perché questa è esattamente la ricetta per selezionare varianti resistenti. Dobbiamo ridurre il numero di positivi, può servire un lockdown di almeno 4 settimane mentre vacciniamo il più ampio numero di persone”.
Tra le nazioni europee, la Germania è quella che sembra aver capito maggiormente l’importanza di muoversi rapidamente per contrastare la diffusione della variante inglese (che secondo alcune proiezioni dovrebbe soppiantare il “vecchio” virus). Merkel ha intenzione di prolungare ed inasprire le restrizioni, fino ad arrivare a un vero e proprio lockdown con limitazioni ai trasporti pubblici, obbligo di far ricorso al telelavoro, chiusura di molte attività produttive e blocco della mobilità individuale.
Vedete, al punto in cui siamo ha davvero pochissimo senso utilizzare una bilancia in cui mettiamo sul piatto la situazione economica e quella epidemiologica, pensando di poter calibrare e gestire il risultato finale. Semplicemente perché il virus se ne frega e controllarne la diffusione è sempre giocare d'azzardo. Lo spiega perfettamente il professor Giorgio Gilestro in questo thread, notando come sia del tutto fuorviante parlare di “convivenza col virus”, se si intende uno scenario in cui “accettiamo” che ci sia un certo numero di contagi e proviamo a trovare un equilibrio tra circolazione e tenuta del sistema sanitario, magari alternando “mezze chiusure e mezze libertà”. Dobbiamo invece imparare a convivere con le misure che ci permettono di contenere il virus e ricorrere ai lockdown con obiettivi specifici e chiari. Il problema, spiega, è che le “mutazioni verso varianti nefaste come quelle in circolo sono rare ma per ogni individuo infetto, sintomatico o no, stiamo tirando un nuovo dado e più dadi tiriamo più rischiamo che alcuni aspetti che diamo per scontato di questo virus cambino in peggio”. O di trovarci di fronte a quello che sembra "un virus completamente diverso", come nel caso di Manaus.