I fatti di queste ultime ore sono noti: il veto di Mattarella sul nome di Paolo Savona, la rinuncia di Giuseppe Conte, la furiosa reazione di Salvini e Di Maio (con la minaccia della messa in stato d’accusa del Capo dello Stato), il conferimento del mandato pieno a Carlo Cottarelli. Una evoluzione confusa e ancora in divenire, destinata però a determinare a lungo il corso della politica italiana, con conseguenze tutte ancora da valutare. Intanto, mentre infuria il dibattito sulla decisione di Mattarella, sulle sue prerogative e sul precedente creato (con un discutibile veto “per ragioni politiche”, per rispondere a un ultimatum, quello di Salvini, che aveva tutti i canoni del ricatto), il Presidente del Consiglio incaricato Cottarelli fa sapere di essere intenzionato a portare in tempi strettissimi al Quirinale la lista dei ministri del suo governo.
Quali siano le prospettive dell’operazione di Mattarella non è chiarissimo. Cottarelli ha delimitato l’orizzonte della sua reggenza a Palazzo Chigi:
- in caso di fiducia da parte del Parlamento, l’esecutivo si occuperà di misure urgenti ma soprattutto della legge di bilancio, in modo da scongiurare l’aumento dell’IVA al 25%, mentre le nuove elezioni si terranno nei primi mesi del 2019;
- senza la fiducia del Parlamento, l’esecutivo resterà in carica solo per l’ordinaria amministrazione e traghetterà il paese al voto dopo il mese di agosto.
La prima cosa da capire è se ci siano le condizioni per un positivo voto di fiducia al governo Cottarelli. Partiamo dai numeri, che rendono bene l’idea di come sia piuttosto improbabile che l’iniziativa di Mattarella ottenga la maggioranza nei due rami del Parlamento. È scontato il no a Cottarelli di M5s, Lega e Fratelli d’Italia, ma per il no propende anche Forza Italia e, di conseguenza, anche altri parlamentari “sparsi”, tra gruppo misto e Autonomie. Alla Camera, dove la maggioranza è di 316 seggi, solo PD (111 seggi), Leu (14 seggi) e altre formazioni vicine all’area di centrosinistra (tra misto Esteri e Autonomie contiamo una ventina di seggi), accetterebbero di sostenere Cottarelli: in ogni caso M5s (222 seggi) e Lega (124) anche da soli possono far saltare qualunque candidato. Al Senato la situazione è anche peggiore. PD e LeU assieme non arrivano che a 56 seggi, cui si potrebbero aggiungere una decina di altri voti “sparsi”: anche a Palazzo Madama Lega (58) e M5s (109) possono far saltare qualunque maggioranza. Insomma, le chance per Cottarelli sono praticamente nulle.
Passiamo quindi a considerare la seconda eventualità, ovvero il no del Parlamento alla fiducia al governo Cottarelli. È lo scenario più probabile, come noto anche a Mattarella, che ormai sa di non poter far presa su concetti come “rispetto delle prassi istituzionali” o “responsabilità nazionale”. In tal caso il governo Cottarelli sarebbe comunque in carica per gli affari correnti e potrebbe gestire la transizione verso nuove elezioni a settembre, come detto. È questo un passaggio essenziale, che chiarisce anche la vera motivazione dell’assegnazione di un nuovo mandato pieno da parte di Mattarella. Come noto, l’ordinamento italiano prevede che vi sia “continuità” delle istituzioni, ovvero che non ci siano fasi di vacanza a Palazzo Chigi. Anche ora, ad esempio, è in carica un esecutivo, quello guidato da Paolo Gentiloni, sia pur dimissionario. Come spiegato qui, infatti, l’assegnazione dell’incarico non determina la fine del precedente esecutivo: cosa che avverrà solo quando l’incaricato scioglierà positivamente la riserva e il Presidente della Repubblica firmerà i decreti di nomina del nuovo Governo.
È questo il motivo centrale dietro la scelta di Mattarella: la necessità che a riportare il paese alle urne sia un governo non – politico, che non possa essere tacciato di aver gestito questa fase per nome e per conto di interessi particolari e con esponenti che non abbiano velleità di personali. Tanto è vero che Cottarelli ha già assicurato che non si candiderà alle prossime elezioni e che chiederà lo stesso impegno a tutti i componenti della sua squadra. Nella visione del Colle, dunque, l'esecutivo Gentiloni non avrebbe potuto ricoprire questo ruolo di garanzia, anche considerando che si sarebbe trattato dell'unico caso in cui un governo sia stato in carica per ben tre distinte legislature (la passata, questa brevissima e nei primi mesi dopo il prossimo voto). Un intento che Mattarella aveva manifestato già dopo il fallimento del mandato esplorativo a Roberto Fico, prima cioè che Salvini e Di Maio scoprissero le carte e cominciassero a trattare.
Dunque, Cottarelli. Senza fiducia, ma in carica per gli affari correnti. E con conseguenze enormi dal punto di vista politico.
Certo, molto dipenderà da come andranno le cose nei prossimi giorni, ma ci sono alcuni elementi che è già possibile isolare. La posizione di Mattarella, per cominciare. Il problema che si presenta adesso è insormontabile: decostruire la narrazione che vuole un capo dello Stato completamente assoggettato ai voleri della finanza internazionale e intenzionato a ergersi contro il governo del cambiamento (ne parlavamo qui). Poteva scegliere un altro percorso, o almeno non affidarsi proprio all'uomo che è considerato legato a quegli stessi ambienti che hanno "defenestrato" Conte e Savona? Perché regalare un ulteriore elemento per la tesi "accusatoria" di Di Maio e Salvini? A prescindere dalla sciocchezza della messa in stato d’accusa, questo è un punto fondamentale: le prossime elezioni saranno anche un referendum pro o contro il Capo dello Stato. Una frattura gravissima, che Di Maio e Salvini stanno alimentando in queste ore, con gli appelli alla mobilitazione dei cittadini tesi a preparare la lunghissima campagna elettorale che ci attende. Un appuntamento che rischia di essere anche un referendum sull’Europa, o meglio sulla rappresentazione dell’Europa come matrigna insensibile e predatoria, che priva gli italiani persino della possibilità di scegliere il proprio governo, imponendo invece restrizioni, norme, tasse, tagli alla spesa e l’intero peso dell’accoglienza dei migranti. L'Europa che mette veti, che obbliga il Capo dello Stato a chinare la testa e "imporre un governo" contro il volere dei cittadini, che ha paura del popolo, che teme Di Maio e Salvini.
Sembra scontato che questo sia il destino del nostro Paese, ovvero un nuovo bipolarismo tra il fronte populista e antisistema e quello moderato ed europeista, fra le forze che si dicono le sole depositarie della volontà popolare e quelle che sono in qualche modo espressione dell'establishment. E il risultato sembra scontato, anche considerando qual è il quadro politico attuale. Salvini e Di Maio, lo si noterà anche in queste ore, sono gli unici leader con le mani libere e stanno monopolizzando la scena, dettando l'agenda e costringendo gli altri a inseguire. Certo, bisognerà capire se avranno la forza di andare fino in fondo, traendo le conseguenze di quanto accaduto in questi mesi e ratificando la nascita di una alleanza elettorale basata sul programma concordato. Una simile creatura politica probabilmente occuperebbe interamente lo spazio a destra, determinando il "naturale slittamento" verso il centro della destra moderata e liberale, fino ad abbracciare la "nuova creatura" che nascerà dalla disgregazione inevitabile del PD. Fantapolitica, che per ora è solo nei desiderata dei salotti di forzisti e democratici.
D'altro canto, l’assenza di una leadership forte a sinistra si sta facendo sentire in modo imbarazzante. E nessuno pare essersi accorto che anche la presenza dei tecnici a Chigi finirà per agevolare il dualismo di cui parlavamo sopra, schiacciando inesorabilmente ciò che resta della sinistra su posizioni moderatamente riformiste ed europeiste.