Sono sempre più numerose le persone costrette a migrare a causa del cambiamento climatico. Che si tratti di disastri naturali causati da un clima più imprevedibile o di lenti processi che stanno rendendo alcuni ambienti inospitali per l'essere umano, sono ormai milioni coloro che ogni anno devono lasciare la propria casa per ragioni legate al climate change. Spesso però i migranti ambientali non sono né riconosciuti né tutelati dal punto di vista normativo, restando invisibili per la legge dei Paesi in cui cercano rifugio.
Negli ultimi anni sono stati fatti alcuni passi avanti. E la politica internazionale, in diversi casi, ha cominciato a guardare ad alcuni fenomeni migratori come conseguenza del cambiamento climatico. Ma, considerando la velocità con cui questo accelera, resta ancora molto da fare per riuscire a dare risposte adeguate a questa sfida. Che non riguarda tutti allo stesso modo, ma colpisce soprattutto gli angoli più poveri del pianeta.
Chi sono i migranti ambientali
Sono generalmente due i contesti in cui il cambiamento climatico spinge le persone a lasciare la propria casa. Questi vengono delineati anche dall'ultimo World Migration Report del 2022. Il primo è quello dei disastri naturali, fenomeni che hanno un inizio e una fine, come uragani, alluvioni, inondazioni e tempeste, che devastano un territorio costringendo le persone che lo abitano a migrare. Ma ci sono anche dei processi più lenti e più complicati da individuare come causa diretta delle migrazioni. Sono l'aumento delle temperature, la siccità, l'innalzamento del livello del mare, la desertificazione: tutti processi che possono impattare duramente la vita di una popolazione o delle singole persone, provocando insicurezza alimentare, mettendo a repentaglio le risorse naturali o rendendo totalmente inospitale un territorio.
Secondo il World Migration Report, redatto dall'Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), è questo secondo tipo di processi che spingerà sempre di più le persone ad abbandonare la propria terra in futuro, molto più dei disastri naturali.
Un po' di dati…
Secondo l'International Displacement Monitoring Centre, che analizza gli spostamenti interni, nel 2020 30,7 milioni di sfollati in 145 Paesi erano in quelle condizioni a causa di disastri naturali. È molto più complesso, invece, fornire dati per quanto riguarda i migranti che lasciano la loro terra a causa dei lenti processi del cambiamento climatico. Anche perché questi si intrecciano spesso con altri fattori che spingono le persone a migrare. Basti pensare come la scarsità di acqua o di altre risorse naturali possa portare a un conflitto, o come una carestia possa esacerbare tensioni politiche e sociali già esistenti.
Tuttavia, il Report dell'Oim evidenzia dei numeri rilevanti. E afferma che, sempre nel 2020, si sono registrati 46mila sfollati a causa delle temperature estreme e 32 mila sfollati interni a causa della siccità. Nonostante si tratti di dati parziali, che ancora non ci danno il senso della grandezza del fenomeno, sono comunque numeri importanti. In Somalia, ad esempio, i dati raccolti nel 2019 ci dicono che il 67% dei quasi 700 mila sfollati interni era stato costretto a migrare a causa della siccità.
Secondo il Groundswell Report della Banca mondiale del 2021, senza una tempestiva azione per contrastare il cambiamento climatico, entro il 2050 ci potrebbero essere fino a 216 milioni di sfollati interni a causa di questi lenti processi che stanno deteriorando l'ambiente in cui viviamo. Le persone tenderanno a lasciare i territori dove trovare acqua diventerà a un problema. Oppure abbandoneranno le zone costiere a causa dell'innalzamento del livello del mare, una conseguenza dello scioglimento dei ghiacciai causato dalle temperature sempre più torride. Che, a loro volta, sono in gran parte il risultato delle elevate emissioni di CO2.
Una questione di ingiustizia sociale
L'impatto del cambiamento climatico non sarà uguale per tutti. Gli effetti del climate change continuano ad avere conseguenze ben più gravi in particolari regioni del mondo: Africa subsahariana, America Latina, Sudest asiatico. Sono le zone più povere del pianeta. Già oggi gli sfollati per ragioni ambientali si trovano nei Paesi a reddito medio-basso. Nonostante siano gli Stati più ricchi quelli ad avere un'impronta sul clima molto più rilevante, sono le popolazioni più povere ad essere quelle più vulnerabili.
Ingiustizia sociale e ingiustizia ambientale vanno di pari passo. Quando scriviamo che tutti gli esseri umani che abitano questo pianeta verranno affetti dal cambiamento climatico, ma non tutti allo stesso modo, pensiamo ad esempio a un uragano che colpisce gli Stati Uniti: per quanto questo possa sicuramente risultare in tragedia, non provocherà mai la stessa devastazione che può avere investendo Haiti, ad esempio. I Paesi più ricchi hanno una capacità diversa di reazione agli effetti del cambiamento climatico e non ne soffrono come il Sud del mondo. Nonostante sia proprio l'emisfero più ricco il più inquinante.
Secondo la Banca mondiale, un efficace e tempestivo taglio delle emissioni inquinanti e, al tempo stesso, un efficiente piano di sviluppo sostenibile, potrebbero ridurre nettamente i flussi migratori legati al cambiamento climatico, fino all'80%.
Nell'analisi del fenomeno dei migranti ambientali la migrazione può anche essere vista come strategia di adattamento. Una definizione che di per sé non è negativa: spostarsi significa mettersi in sicurezza abbandonando un territorio inospitale e pericoloso per l'insediamento umano. Ma così facendo, una persona o una popolazione, rischia di rendersi vulnerabile in altro modo.
Le difficoltà giuridiche: ai migranti ambientali non viene riconosciuta la protezione internazionale
Al migrante climatico non viene riconosciuta la protezione internazionale. La maggior parte degli sfollati per ragioni ambientali si sposta all'interno del proprio Paese, è vero, ma nei casi in cui questo viene abbandonato ci si trova invisibili davanti alla legge. E anche restando all'interno dei confini nazionali, i migranti climatici si espongono a diversi rischi: in primis quello di finire vittime del traffico di esseri umani. Un pericolo che si crea soprattutto per donne e bambini.
La legislazione internazionale non riconosce ancora il cambiamento climatico come legittimo fattore che porta le persone a migrare. Mettersi al riparo da disastri ambientali o da un clima inospitale, così, spesso significa esporsi ad altri tipi di insicurezze.
Non solo: la difficoltà di individuare a livello giuridico i migranti climatici è anche data dalla moltitudine con concause che spesso si intrecciano con l'emergenza ambientale. La scarsità di risorse naturali o una carestia, ad esempio, che possono essere dirette conseguenze del cambiamento climatico, hanno infatti spesso un collegamento diretto con i conflitti e l'aumentare delle tensioni politiche e sociali. Sono diversi gli studiosi che hanno in questo senso sottolineato il legame tra lo scoppio delle proteste della Primavera Araba con l'aumento del prezzo dei cereali nel 2011. Secondo Nature con l'aumento di oltre 2° delle temperature il rischio di conflitti armati potrebbe aumentare del 13%.
Perché tutto questo riguarda anche l'Italia
Quella contro il cambiamento climatico è una sfida globale. Così come lo è un politica che tenga conto dell'impatto di questo fenomeno nella gestione dei flussi migratori. Secondo l'ultimo dossier del Centro Studi e Ricerche Idos anche quella verso l'Italia è una migrazione sempre più climatica. L'anno scorso i migranti arrivati in Italia provenivano per la maggior parte dai Paesi tra i più colpiti da siccità e alluvioni.
Ma visto che il nostro Paese non riconosce la protezione internazionale per chi fugge dalla devastazione del cambiamento climatico, questa ragione resta per lo più non dichiarata. Il fenomeno, però, è destinato a crescere e la comunità internazionale sarà chiamata a rispondere.