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“Così Beppe ci porta verso il baratro”, lo sconcerto dei 5 Stelle dopo il vaffa di Grillo a Conte

Dopo il post con cui Grillo attacca Giuseppe Conte e gli toglie la possibilità di guidare il Movimento 5 Stelle, tra i parlamentari grillini regna lo sconcerto. Nella ore successive alle parole del garante, si susseguono incontri e riunioni, ma nessuno sa davvero cosa succederà adesso. In molti sono combattuti tra la fedeltà al fondatore e la tentazione di seguire l’ex premier nel caso decida di fondare il suo partito. Ecco la ricostruzione delle ore più difficili della storia del Movimento.
A cura di Marco Billeci
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Come ogni scena madre che si rispetti, anche questa va raccontata da due punti di vista diversi. Sono le 17.30 del 29 giugno, quando sul sonnacchioso emiciclo della Camera, piomba il post con cui Beppe Grillo dà il suo vaffa a Giuseppe Conte.  Da quel momento, nessuno fa più caso a quello di cui si sta discutendo in aula: gli occhi di tutti si voltano verso i banchi del Movimento 5 Stelle. I parlamentari degli altri partiti raccontano che i deputati M5S iniziano a correre impazziti tra gli scranni, parlottano tra loro, cercano una spiegazione o un conforto dai più esperti, increduli di fronte alle parole del fondatore. Chi in quegli stessi istanti sta dall'altra parte della barricata, descrive la stessa situazione in modo un po' diverso. "Sì certo siamo stati colti tutti di sorpresa – dice un parlamentare grillino -, ma dopo un po' ci siamo messi a ridere. Questa ormai è una barzelletta, l'ultimo numero di un comico".

Bisogna spostarsi di qualche centinaia di metri e in avanti di qualche ora per capire quanto in realtà entrambe queste prospettive sullo psicodramma grillino abbiano una parte di verità, quanto in mezzo al naufragio si mischino rabbia e incredulità, disorientamento, ma anche una strana allegria, un sollievo per una deflagrazione che quantomeno mette fine a mesi di tensione. Dunque, bisogna uscire da Montecitorio e inoltrarsi tra i vicoli attorno ai palazzi del potere, nella serata romana. Nei tavoli dei ristoranti gruppi di parlamentari M5S mangiano e bevono, un po' di più che nei giorni normali, ma questo un giorno normale non è. Soprattutto, parlano tra di loro per chiedersi reciprocamente tutti la stessa cosa: "Che succede adesso?". E tutti si rispondono candidamente allo stesso modo: "Non ne ho idea".

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Che succede adesso

È inedito trovarsi di fronte a una serie di politici, molti ormai di lungo corso, che rimangono senza parole, senza una spiegazione almeno di facciata. Proviamo allora a mettere in fila i pochi punti fermi che emergono dalle chiacchierate. Tutti o quasi pensano che Grillo stia sbagliando, che sia ingiusto dare dell'incompetente e inetto a un già due volte  presidente del Consiglio, l'uomo che lo stesso garante aveva chiamato per rifondare il Movimento. Tutti o quasi sperano ancora che Conte possa in qualche modo rimanere in campo. Qualcuno invoca una mediazione, che sembra ormai fuori tempo massimo.

Altri fanno capire di essere pronti a seguire l'avvocato nel caso decidesse di strappare e fondare un partito suo. In pochi, però, lo dicono apertamente. Un po' perché è saggio non sbilanciarsi troppo mentre ancora non si sa come andranno le cose. Un po' si tratta anche del rifiuto del pensiero di lasciare quello che si sarà pure dimostrato un padrone assoluto, ma resta pur sempre il padre. "Non date per scontato che tutti o anche solo la maggior parte di noi siano disposti ad abbandonare Beppe, le cose sono più complicate di così", avverte un deputato. Accanto a lui, uno dei senatori storici del Movimento ha le lacrime agli occhi. "Io ho fatto con Beppe i comizi per le comunali della mia città nel 2011, quando prendevamo quattro voti, non fatemi scegliere tra lui e Conte", implora quasi, rivolto non si sa bene a chi.

Solo su un punto c'è accordo: adesso molti parlamentari penseranno per sé. "Al Senato sono di meno e qualcosa riescono a capire – racconta un deputato -, ma da noi alla Camera  soprattutto i più giovani brancolano nel buio, non sanno niente di quello che succede dentro al Movimento". Più di uno è pronto a scommettere che da qui a poco i gruppi parlamentari M5S esploderanno. Un bel problema, non tanto per la stabilità del governo Draghi, che oggi non sembra in discussione, ma soprattutto in vista dell'elezione del presidente della Repubblica, nel febbraio 2022. Per dare una misura della gravità della situazione, mentre si avvia a grandi falcate verso un taxi, a una domanda su possibili spaccature interne, il capogruppo al Senato Licheri risponde: "I lavori delle commissioni e l'attività legislativa continueranno regolarmente". Come dire, cerchiamo di assicurare almeno il minimo indispensabile per portare avanti la baracca.

"Grillo ci porta verso il baratro"

Il problema è che quasi tutti gli eletti grillini concordano sul fatto che la strada indicata da Grillo – ritorno tra le braccia della piattaforma Rousseau e voto per un direttivo collegiale – porta verso il baratro politico. "Nessuno sano di mente si presterà a candidarsi in questa situazione, certo non Luigi", giurano i maggiorenti grillini. Luigi è ovviamente Luigi Di Maio, quello che, secondo molti, già da qualche giorno Grillo aveva individuato come alternativa a Conte. "Macché, Di Maio è il primo a sapere quanto è difficile convivere con Beppe, quando a gennaio scorso ha lasciato la guida del Movimento era sfinito". C'è poi anche un altro nome sulla bocca di tutti i grillini, quello di Alessandro Di Battista. A invocarlo sono soprattutto i parlamentari che, come lui, hanno abbandonato il Movimento al momento della fiducia al governo Draghi e ora si dicono pronti a rientrare. Parliamo di personalità di peso – da Morra a Villarosa, dalla Lezzi a Lannutti -, che ieri dopo il post di Grillo andavano in giro euforici, gridando al miracoloso ravvedimento del garante, rispetto alla scelta di dare pieni poteri a Conte.

Di Battista, quindi. Sarà lui il nuovo uomo della provvidenza per i 5 Stelle? "Secondo me nemmeno Alessandro è disponibile a partecipare a quest'operazione di Beppe", dice un deputato che lo conosce bene. Proviamo a contattarlo mentre si trova tra gli altipiani della Bolivia, in viaggio per un nuovo reportage. Risposta: "Io ho lasciato il Movimento per ragioni politiche, non commento questioni interne, organizzative, statutarie". Con altri che lo hanno sentito in queste ore, l'ex deputato è più esplicito: "Finché i 5 Stelle appoggiano questo governo, io non tornerò mai”. Replica uno di quelli che aspetta il ritorno di Dibba come messia del M5S delle origini: "Adesso è presto, vediamo cosa fa a settembre". Sempre che a settembre un Movimento 5 Stelle da salvare esista ancora.

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