Cos’è la rivalutazione delle pensioni, come funziona e chi ci perde con i tagli del governo Meloni
Ha fatto discutere la scelta del governo Meloni di tagliare le rivalutazioni delle pensioni nel 2024. Il taglio sarà ancora più pronunciato di quello che il governo aveva già messo in atto per quest'anno. La rivalutazione viene stabilita per legge, e spesso i governi intervengono per modificare il modo in cui viene calcolata. A perderci l'anno prossimo, stando alla tabella delle rivalutazioni, saranno tutti coloro che hanno una pensione oltre quattro volte la minima, cioè oltre i 2.100 euro lordi al mese, e soprattutto chi ha le pensioni più alte, con oltre 5.200 euro lordi.
Cos'è la rivalutazione delle pensioni e perché si fa
La rivalutazione delle pensioni si chiama formalmente "perequazione". È quell'operazione per cui ogni anno, dal 1° gennaio, gli assegni pensionistici aumentano in base a quanto è aumentata l'inflazione l'anno prima. In pratica, la rivalutazione è un meccanismo che serve per assicurare che gli introiti dei pensionati stiano al passo con l'aumento del costo della vita: salgono i prezzi, salgono gli assegni. Lo scopo è tutelare il potere d'acquisto di chi è in pensione.
La perequazione fu introdotta in Italia nel 1969 con la legge 153: il testo recitava semplicemente che gli importi delle pensioni "con effetto dal 1° gennaio di ciascun anno, sono aumentati in misura percentuale pari all'aumento percentuale dell'indice del costo della vita". L'idea era di legare l'andamento delle pensioni alla ‘scala mobile' per i salari, poi negli anni Settanta la norma venne resa più stringente e negli anni Novanta prese praticamente la forma attuale.
La legge non obbliga a dare ai pensionati un aumento uguale al tasso di inflazione. Se in un anno i prezzi aumentano del 5%, non è detto che tutti gli assegni previdenziali salgano del 5% l'anno dopo. La rivalutazione quindi non deve essere pari al 100% dell'inflazione, ma può essere ridotta. Ad esempio, dal 2001 era previsto che chi aveva un assegno fino a quattro volte la pensione minima ricevesse il 100% dell'inflazione, chi aveva tra quattro e cinque volte la minima il 90%, e oltre questa soglia il 75%. Poi ci sono stati diversi interventi peggiorativi negli anni.
Cosa ha deciso il governo Meloni l'anno scorso
Il governo Meloni nella sua manovra dell'anno scorso ha inserito un nuovo sistema che non aveva più solo tre fasce (meno di quattro volte la pensione minima, tra quattro e cinque volte, oltre cinque volte) ma sei fasce. In questo modo, al salire degli assegni diminuiva la quantità di inflazione che viene inserita nella rivalutazione. Questa era la tabella per il 2023:
- fino a 4 volte la pensione minima c'era una rivalutazione del 100% dell'inflazione
- tra 4 e 5 volte la pensione minima c'era una rivalutazione del'85%
- tra 5 e 6 volte la pensione minima c'era una rivalutazione del 53%
- tra 6 e 8 volte la pensione minima c'era una rivalutazione del 47%
- tra 8 e 10 volte la pensione minima c'era una rivalutazione del 37%
- oltre 10 volte la pensione minima c'era una rivalutazione del 32%
Va detto che nel 2022 l'inflazione ha toccato livelli che non si vedevano da circa quarant'anni: è arrivata all'8,1% in un anno, mentre nei dieci anni precedenti era sempre stata sotto il 2%. Questo ha significato un forte aumento dei prezzi e del costo della vita. Perciò, anche la rivalutazione per mantenere il potere d'acquisto dei pensionati sarebbe costata parecchio allo Stato. Così il governo ha deciso di tagliare gli assegni più alti, riducendo il loro potere d'acquisto per risparmiare e poter portare avanti altre misure.
Cosa cambia nella rivalutazione per il 2024
Per il 2024 il governo Meloni ha deciso di confermare la misura, con un ulteriore taglio del potere d'acquisto, e ha ridotto ancora la percentuale di rivalutazione per le pensioni più alte: dal 32% al 22%. Questa è quindi la tabella delle rivalutazioni per il 2024:
- fino a 4 volte la pensione minima (sotto i 2.102 euro), rivalutazione del 100%
- tra 4 e 5 volte la pensione minima (tra i 2.102 e i 2.627 euro), rivalutazione dell'85%
- tra 5 e 6 volte la pensione minima (tra i 2.627 e i 3.152 euro), rivalutazione del 53%
- tra 6 e 8 volte la pensione minima (tra i 3.152 e i 4.203 euro), rivalutazione del 47%
- tra 8 e 10 volte la pensione minima (tra i 4.203 e i 5.254 euro), rivalutazione del 37%
- oltre 10 volte la pensione minima (sopra i 5.254 euro), rivalutazione del 22%
Nel 2023 l'inflazione è stata più bassa rispetto all'anno precedente, e ha avuto un calo costante. Tuttavia è comunque rimasta su livelli anomali per gli ultimi anni. Una stima esatta e ufficiale non c'è ancora, ma si parla del 6% circa. Questo significa che gli assegni più bassi saliranno del 6% dal 1° gennaio 2024, e da lì a scalare, con percentuali sempre più basse.
Perché a dicembre 2023 ci sarà un conguaglio per i pensionati
Nel corso del 2024, poi, arriverà un calcolo più preciso sull'esatto tasso d'inflazione del 2023. A quel punto, le pensioni andranno nuovamente adattate. Ad esempio, se il calcolo effettuato nelle prossime settimane stimasse che nel 2023 c'è stato un aumento dei prezzi del 5%, ma poi tra alcuni mesi venisse fuori che l'inflazione è stata in realtà del 6%, bisognerebbe recuperare un ulteriore 1% (o meno, per gli assegni più alti).
Negli scorsi anni, il ricalcolo portava ad aggiustamenti piuttosto ridotti, spesso dello 0,1%. Invece per quest'anno la differenza tra l'inflazione calcolata a fine 2022 e quella effettiva è stata piuttosto alta (+0,8%), e il governo Meloni ha deciso che la somma che i pensionati hanno diritto a recuperare non sarà distribuita nel 2024, come sarebbe prassi, ma sarà accorpata nella pensione di dicembre, portando a una sorta di bonus di fine anno.