Cos’è il Bonus Maroni per chi rinuncia a pensione anticipata, quanto vale e come ottenerlo in busta paga
Il bonus Maroni, chiamato così perché lanciato dall'ex ministro leghista Roberto Maroni, morto nel 2022, è un'agevolazione che spinge i lavoratori del settore pubblico e privato a restare al lavoro anche quando hanno raggiunto i requisiti per richiedere la pensione anticipata, e in particolare Quota 103. Il suo nome tecnico è Incentivo al posticipo del pensionamento. Il governo Meloni lo ha rinnovato nell'ultima manovra, e l'Inps ha già comunicato in una circolare il calendario degli accrediti. In sostanza, il bonus è un esonero dai contributi a carico del dipendente, pari al 9,19%, e quindi permette di aumentare il proprio stipendio netto.
Chi può ottenere il bonus Maroni 2024
Può ottenere il bonus Maroni chi è un lavoratore o una lavoratrice dipendente del settore pubblico o privato, iscritto all'assicurazione generale obbligatoria o alle altre forme sostitutive ed esclusive della medesima, come ha ricordato l'Inps. È poi necessario che la persona interessata abbia raggiunto i requisiti per Quota 103: almeno 62 anni di età e almeno 41 anni di contributi versati. È escluso chi è già titolare di pensione diretta (tranne l'assegno di invalidità) e anche chi ha già raggiunto i 67 anni di età e quindi ha diritto alla pensione di vecchiaia.
Chi si trova in queste condizioni può decidere di esercitare la propria facoltà di rinuncia all'accredito contributivo, per la quota dei contributi previdenziali che è a carico del dipendente. Questo significa sostanzialmente che si continua a lavorare, con un assegno leggermente aumentato, e si smette di versare la propria parte di contributi per la pensione.
Quanto vale il bonus
Il meccanismo del bonus Maroni è semplice. Chi aderisce rinuncia alla pensione anticipata con Quota 103 e continua a lavorare. Nei mesi successivi, tuttavia, è esonerato dal versare la propria quota di contributi previdenziali per l’Assicurazione generale per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti. La decontribuzione vale al massimo il 9,19% dello stipendio, cioè la quota di contributi che normalmente devono versare i dipendenti.
Questo significa che, nel migliore dei casi, chi continua ad andare al lavoro dopo aver rinunciato alla pensione avrà uno stipendio più alto del 9,19%. Ad esempio, chi ha uno stipendio lordo da 2mila euro al mese otterrà un aumento netto da poco meno di 200 euro. Questa percentuale viene detratta unicamente dai contributi a carico del lavoratore, e non da quelli a carico del datore di lavoro, quindi per l'azienda non ci sono vantaggi economici.
Come fare domanda e quando partono gli accrediti
Il lavoratore o la lavoratrice che sceglie di approfittarne deve presentare domanda all'Inps, direttamente dal sito dell'Istituto o anche tramite un patronato. Toccherà poi all'Inps verificare che il dipendente in questione rispetti tutti i requisiti di età e di contributi. In teoria, l'Istituto dovrebbe completare tutte le certificazioni entro 30 giorni dal momento in cui viene fatta la richiesta, o comunque da quando si invia tutta la documentazione necessaria. L'Inps ha specificato che l'accredito, per chi ha già fatto domanda, partirà non prima di queste date:
- 2 agosto 2024, per i dipendenti del privato, se la pensione è gestita dalla Gestione esclusiva dell’AGO
- 1° settembre 2024, per i dipendenti del privato, se la pensione è gestita da una Gestione diversa da quella esclusiva dell’AGO
- 2 ottobre 2024, per i dipendenti pubblici, se la pensione è gestita dalla Gestione esclusiva dell’AGO
- 1° novembre 2024 ,per i dipendenti pubblici, se la pensione è gestita da una Gestione diversa da quella esclusiva dell’AGO