La manifestazione di Roma, con l'appendice "programmatico-organizzativa" del giorno dopo, è stata un vero e proprio momento costituente del movimento delle sardine. Dopo oltre cento manifestazioni su tutto il territorio nazionale (e qualche evento anche all'estero), le sardine hanno superato alla grande anche l'ostacolo San Giovanni, non sfigurando per partecipazione, entusiasmo e impatto comunicativo nel confronto con la recente manfestazione della comunità salviniana, in quella che un tempo era la piazza simbolo della sinistra italiana. Dal punto di vista strettamente "politico", però, la manifestazione di Roma ha accentuato quelle che sono le grandi complessità del percorso delle 6000 sardine.
La fatica di dotare il movimento di una piattaforma programmatico – ideologica con un minimo di senso (normale, naturale, inevitabile dato il modo in cui è nato e si è sviluppato il fenomeno sardine) si è sommata all'emergere delle prime contraddizioni fra coloro che più o meno autonomamente si erano proclamati referenti territoriali e politici, nonché ai continui e costanti tentativi dei partiti di cavalcarne l'onda. Una tale pressione ha determinato la necessità di accelerare sul piano organizzativo (con una prima riunione per strutturare ciò che c'è ed impedire la frammentazione su base territoriale) ma soprattutto di cominciare a riempire di contenuti una mobilitazione che era ed è soprattutto (e giustamente) spontanea ribellione all'idea di società, di comunità e di futuro disegnata dal leader della Lega Matteo Salvini.
Su questo punto, diciamocelo francamente, le sardine hanno prodotto due documenti piuttosto deludenti, molto discutibili nei contenuti e nei toni. Dopo il manifesto, ieri è stata la volta delle sei proposte da proporre ai politici, lette dal palco dal leader Santori:
Uno. Pretendiamo che chi è stato eletto vada nelle sedi politiche invece di fare campagna elettorale permanentemente. Due. Pretendiamo che chiunque ricopre la carica di ministro comunichi solamente nei canali istituzionali. Tre. Pretendiamo trasparenza nell’uso che la politica fa dei social network, sia economica che comunicativa. Quattro. Pretendiamo che il mondo dell’informazione traduca lo sforzo” che facciamo “in messaggi fedeli ai fatti. Cinque. Pretendiamo che la violenza venga esclusa dai toni e dai contenuti della politica in ogni sua forma. E’ il momento che la violenza verbale venga equiparata alla violenza fisica. Sei. Chiediamo di ripensare il decreto Sicurezza: c’è bisogno di leggi che non mettano al centro la paura, ma il desiderio di costruire una società inclusiva.
L'attenzione dei media si è giustamente concentrata sul pacchetto sicurezza di Salvini, che Santori pare voler salvare in qualche aspetto (ragione della contestazione delle sardine nere). Un errore concettuale, a parere di chi scrive, proprio perché i due decreti sicurezza sono la prima concretizzazione dell'ideologia salviniana e disegnano una società chiusa, dominata dalla paura e dalla diffidenza, che criminalizza la solidarietà e la marginalità, diminuendo anche gli spazi di democrazia. Tutto ciò che le sardine dicono di voler combattere è in atto o in potenza all'interno dei decreti sicurezza: operare mediazioni e compromessi su questo punto appare davvero un controsenso logico e concettuale.
Piuttosto discutibile è anche il modo in cui le sardine si approcciano al tema della comunicazione, in particolare quella social. Una posizione addirittura antistorica, quando "pretende" (eh) di relegare i rapporti fra cittadini e rappresentanti ai soli canali istituzionali. E piuttosto fumosa quando affronta il tema della "trasparenza sui social network" e dell'equiparazione della violenza verbale a quella fisica. O meglio, diciamocelo senza girarci intorno: su Rete, social network e linguaggio le posizioni di Santori sono reazionarie e approssimative, finanche contraddittorie se si pensa a come è nato, si è sviluppato e presumibilmente crescerà ancora il movimento delle sardine.
La sensazione è che le sardine abbiano subito inevitabilmente l'incredibile pressione mediatica e l'enorme aspettativa generata in tantissime persone in queste settimane, finendo con l'accelerare tempi e processi e pasticciare una riflessione programmatica e politica. Una situazione finanche paradossale, perché Santori e gli altri si sono sentiti quasi in dovere di colmare un vuoto di proposte e idee, che invece è comune alla stragrande maggioranza delle formazioni politiche tradizionali. Per giorni e giorni analisti e commentatori hanno chiesto alle sardine quelle risposte che la politica italiana non dà e non sa dare da anni. Si è caricato di responsabilità eccessive un movimento nato intorno a un'idea semplice: la serenità, la spensieratezza, la serietà e il sorriso contro l’odio, la paura, le narrazioni tossiche e le strumentalizzazioni della politica. Invece di mandare analisti, politici, commentatori e noi giornalisti a quel paese, Santori e gli altri ci hanno preso sul serio, fermandosi a discutere anche della possibilità di convergenze con "tutti", ex fascisti e personaggi da circo inclusi. Ne valeva la pena?
Il successo del messaggio delle sardine era ed è ancora dovuto dalla voglia di stare insieme "per" rifiutare un futuro fatto di divisioni e contrasti, per riaffermare il primato dei ponti sui muri, per dire che un altro Paese è possibile e non è detto che l'unico destino sia quello di arrendersi all'onda della destra populista e sovranista. Una mobilitazione lontana dalle prassi e dalle dinamiche tradizionali, tutt'altro che deresponsabilizzante: anzi, politica in senso più puro e assoluto. Che andava presa sul serio proprio per questo motivo.