Poche le certezze, tante le incognite, grande il nervosismo. È questo il quadro che emerge dall’ennesima fumata nera intorno alla prescrizione e, in generale, ai progetti del ministro della Giustizia, nonché capo delegazione del Movimento 5 Stelle nel governo, Alfonso Bonafede. Come noto, l’ultimo vertice di governo ha confermato la distanza fra le anime della maggioranza, malgrado PD, M5s e LeU avessero trovato un accordo (dopo una serrata trattativa) intorno alle modifiche proposte dal parlamentare Federico Conte, da cui appunto nasce il suggestivo “lodo Conte bis”, che si sostanzia nella sospensione “breve” della prescrizione in caso di assoluzione in primo grado e nel blocco in caso di assoluzione in appello per coloro i quali siano stati condannati in primo grado. Non è ancora chiarissimo se tale norma verrà inserita in un decreto legge, di certo la maggioranza intende vararla nel Consiglio dei ministri di lunedì, nel quale “partirà” anche la riforma del processo penale, con l’approvazione di un disegno di legge di delega.
Un accordo dal quale si è sfilata Italia Viva, che ha confermato la propria indisponibilità a votare in Parlamento il lodo Conte bis, ribadendo le perplessità sulla costituzionalità di modifiche di questo tipo e lasciando intendere che ci sia molta distanza anche sulle ipotesi di riforma del processo penale. Lo stesso Matteo Renzi ha ribadito che non intende “farsi dettare la linea da Bonafede”, invitando gli ex compagni di partito del PD a votare in conformità con quanto fatto in passato o a cercare i voti mancanti nelle aule parlamentari. Italia Viva, in effetti, ha presentato un emendamento (a firma Lucia Annibali, capogruppo in Commissione Giustizia) con il quale si chiede sostanzialmente il ripristino della legge Orlando e dunque la cancellazione della riforma Bonafede che, ricordiamolo, è stata approvata con il governo a trazione M5s – Lega.
In mezzo al guado il Presidente del Consiglio, che ieri ha fatto trapelare un commento in cui spiegava di essere al lavoro per “un punto ancora più avanzato di mediazione” che tenga insieme “da una parte la necessità di evitare la denegata giustizia che ha comportato che i processi si concludessero senza una sentenza di merito, di assoluzione o di condanna; dall'altro l'interesse alla durata ragionevole del processo, costituzionalmente garantita”. Frasi di circostanza, ovviamente, che però lasciano intendere come Conte sia piuttosto tranquillo sul futuro del governo.
E, in effetti, ha ragione. O meglio, dovrebbe aver ragione. C’è infatti più di un motivo per credere che si tratti di una crisi circoscrivibile, che potrebbe incidere sugli equilibri interni alla maggioranza ma che non dovrebbe modificare né l’orizzonte di governo né la prosecuzione della legislatura. Su quest’ultimo aspetto, chiariamolo subito, non ci sono poi molti dubbi: non c’è né la volontà politica (nessuna delle forze politiche di maggioranza è pronta), né la possibilità tecnica (con il referendum sul taglio dei parlamentari che incombe) di tornare al voto in tempi brevi. Discorso simile per quel che concerne Conte, la cui presenza a Chigi è blindata dall’assenza di alternative, dalla crescita del proprio consenso personale e dalle difficoltà interne dei partiti che lo sostengono. Certo, la politica italiana ci ha abituato a colpi di scena e clamorosi inciampi, ma al momento non sono in molti a scommettere su un avvicendamento a Palazzo Chigi né su crisi a strettissimo giro.
Diverso il discorso sugli equilibri interni alla maggioranza, mai così divisa e litigiosa. Non che i rapporti siano mai stati idilliaci (questo governo nasce contro la volontà dei leader dei principali azionisti della maggioranza, ricordiamolo), ma il rafforzamento dell’asse PD – M5s – LeU rischia di creare una frattura insanabile con la componente renziana. Poche ore fa, Matteo Renzi ha ribadito di non pensare né a far cadere il governo, né a ripensare le regole di ingaggio di IV con la formula dell’appoggio esterno. Anche Renzi, insomma, vuole circoscrivere la crisi, portando la questione prescrizione/giustizia in Parlamento e fuori dalle sale di Palazzo Chigi, conscio anche del fatto che le proteste di giudici, avvocati e costituzionalisti sulla Bonafede – Salvini rafforzano la sua posizione nel merito.
Operazione non semplice, però, perché i Cinque Stelle hanno fatto della riforma della prescrizione una battaglia centrale e non possono perdere la faccia di fronte a militanti ed elettori. Non a caso, nel caos seguito alle dimissioni di Luigi Di Maio, si era scelto di rafforzare proprio la figura di Alfonso Bonafede, che in Cdm parla per nome e per conto dell’interno Movimento: fatto che già ha influito pesantemente nel primo vertice, spingendo il PD e LeU ad accettare una mediazione al ribasso anche sulla già molto discutibile proposta di Federico Conte (che inizialmente prevedeva il blocco della prescrizione solo dopo una doppia condanna). Se Bonafede decidesse di mantenere il punto e spingere per la formula del decreto, Conte sarebbe di fronte a una situazione oggettivamente complicata, perché non avrebbe più spazio per la mediazione e dovrebbe chiedere un atto di fiducia a Renzi e Italia Viva.
Ad aumentare l’incertezza concorrono poi i tanti distinguo interni al Partito Democratico sull’ennesimo compromesso accettato in nome della tenuta della maggioranza (per di più su una norma “pesante” dal punto di vista simbolico) e lo stillicidio di abbandoni interni al M5s: fattori che rendono ballerini i numeri e rafforzano le carte in mano ai renziani, convinti che Bonafede stia “sbagliando clamorosamente i conti” e che sul tema della giustizia esista in Parlamento una ampia maggioranza contraria alla prescrizione versione Lega – M5s. La domanda finale insomma è: chi fra Renzi, Bonafede e Zingaretti è disposto a spingersi fino in fondo su questo tema?