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Cosa sta succedendo con l’ex Ilva di Taranto e come possono cambiare le cose ora

ArcelorMittal ha rifiutato l’ultima proposta del governo Meloni sul futuro dell’ex Ilva di Taranto. Ora l’acciaieria più grande d’Europa, in crisi da anni dopo le vicende giudiziarie nate nel 2012 per il suo impatto inquinante, potrebbe andare verso il commissariamento. È possibile anche che il governo decida di nazionalizzarla mentre cerca un altro socio privato.
A cura di Luca Pons
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Si è aperta una nuova fase nella storia dell'ex Ilva di Taranto, l'acciaieria più grande d'Europa che ormai da anni è in crisi. Ieri, 8 gennaio, la multinazionale ArcelorMittal che controlla lo stabilimento insieme allo Stato tramite la società Acciaierie d'Italia ha rifiutato un'offerta del governo Meloni: rendere lo Stato il principale azionista, con il 66%, e rilanciare l'azienda con un nuovo investimento. Ora per l'acciaieria sembra che si avvii la strada del commissariamento, oppure di un'altra lunga trattativa per ricomporre la crisi. L'intenzione del governo potrebbe essere quella di nazionalizzare l'ex Ilva, ma solo per un breve periodo, mentre continua la ricerca di un nuovo socio privato. Giovedì l'esecutivo incontrerà i sindacati, e a loro potrebbe dare alcune nuove indicazioni. I dipendenti dell'acciaieria oggi sono circa 10mila, senza considerare l'indotto delle aziende collegate.

La storia dell'acciaieria ex Ilva di Taranto, dall'inizio a oggi

È bene chiarire quali sono i passaggi più importanti nella complessa vicenda legata all'ex Ilva. Lo stabilimento di Taranto esiste dal 1961, ed è ancora oggi il più grande complesso dedicato alla lavorazione dell'acciaio in tutta Europa. Saltando diversi decenni di storia in cui lo stabilimento fu controllato prima da Italsider e poi, dal 1989, da Ilva S.p.A., si arriva al 2012.

Questo è l'anno in cui, il 3 febbraio, il procuratore capo di Taranto Franco Sebastio avvisò il ministero dell'Ambiente, il presidente della Puglia e il sindaco di Taranto che una perizia aveva rilevato un livello di inquinamento altissimo nell'area attorno all'acciaieria. Un inquinamento legato alle emissioni della fabbrica, e che avrebbe avuto effetti anche sui residenti. A luglio gli impianti dell'area a caldo furono sequestrati dalla Procura. Iniziò così uno scontro tra l'azienda, i dipendenti e lo Stato italiano (che ha cercato di evitare la chiusura dello stabilimento, sia per tutelare i lavoratori che per la sua importanza economica) che sarebbe durato per anni e che di fatto non si è ancora concluso.

Nel 2015 l'Ilva S.p.A. fu messa in amministrazione straordinaria, o ‘commissariata', dato che fu nominato un collegio di commissari che l'avrebbe gestita per migliorare la situazione sia sul piano ecologico che economico. L'anno dopo partì il bando per la vendita all'asta, e nel 2017 lo vinse la multinazionale indiana ArcelorMittal. Nel 2021, dopo un contenzioso legale, nacque Acciaierie d'Italia, formata per il 68% da ArcelorMittal e per il 32% da Invitalia, cioè dallo Stato. Questa è la situazione attuale per quanto riguarda la proprietà.

Cosa ha proposto il governo Meloni ad ArcelorMittal

Dopo diversi anni in cui si è tentato di concordare un piano per il risanamento ambientale ed economico dell'ex stabilimento Ilva di Taranto, le cose non sono migliorate. ArcelorMittal ha fatto sapere che non ha più intenzione di investire nell'azienda. Nell'ultimo periodo un dei principali problemi è stata una grande mancanza di liquidità, che avrebbe portato ad accumulare debiti per oltre un miliardo di ero. Così, gli impianti si sono gradualmente fermati o hanno ridotto la produzione al minimo. Circa 2.500 lavoratori sono in cassa integrazione. Il rischio è che i circa 10mila dipendenti restino senza lavoro, oltre alle conseguenze che una chiusura avrebbe per le aziende collegate e per tutta l'economia italiana.

Nell'incontro dell'8 gennaio, il governo Meloni ha fatto una proposta in due fasi. L'idea era che lo Stato avrebbe convertito un prestito fatto nel 2022 ad ArcelorMittal (680 milioni di euro) in quote societarie di Acciaierie d'Italia. Così sarebbe diventato l'azionista di maggioranza, con il 60%.

Poi, sarebbe arrivato un nuovo investimento da 320 milioni di euro, pagato per la maggior parte dallo Stato e per il resto da ArcelorMittal, in modo da dare nuova liquidità all'azienda. Invitalia sarebbe così salita al 66% della società. ArcelorMittal ha rifiutato, stando a quanto comunicato dal governo Meloni, perché non è disponibile ad "assumere impegni finanziari e di investimento" per l'ex Ilva. Insomma, non ha più intenzione di spendere per lo stabilimento. Nella stessa nota, Palazzo Chigi ha spinto Invitalia a valutare le prossime mosse tramite "attraverso il proprio team legale".

Cosa può succedere adesso

Sembra probabile, al momento, che inizierà un nuovo scontro legale tra lo Stato e ArcelorMittal, accusata di non rispettare i propri impegni contrattuali. L'ex Ilva di Taranto potrebbe essere nuovamente messa in amministrazione straordinaria. Il governo, grazie al decreto Ilva approvato l'anno scorso, può ricorrere a questa misura anche senza il consenso del socio privato. Questo permetterebbe allo stabilimento di rimanere operativo mentre i vertici mettono a punto con il tribunale un piano per saldare i debiti con i creditori, ma allungherebbe anche molto i tempi senza dare piene garanzie a chi deve essere pagato.

La richiesta dei sindacati, che incontreranno il governo giovedì, è che l'azienda sia nazionalizzata del tutto. L'esecutivo di Giorgia Meloni potrebbe effettivamente muoversi in questa direzione, ma solo temporaneamente. L'intenzione del governo, dichiarata più volte, è quella di trovare un'azienda privata che abbia intenzione di investire nell'acciaieria. Per il momento, la ricerca non ha dato frutti. Le sigle sindacali hanno fatto sapere con un comunicato quali sono le loro priorità: "Il controllo pubblico, la salvaguardia occupazionale, la salute e la sicurezza, il risanamento ambientale e il rilancio industriale".

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