Cosa sono le gabbie salariali, perché furono abolite e cosa c’entra la proposta di legge della Lega
Le gabbie salariali, cioè la differenziazione dei salari in base al costo della vita, tornano nel dibattito politico, a partire dal disegno di legge di Massimiliano Romeo, capogruppo della Lega al Senato, che ripropone appunto l'idea di utilizzare il parametro del costo della vita nella contrattazione di secondo livello.
Il meccanismo delle gabbie salariali era stato introdotto nel 1945, con un accordo tra Confindustria e la Cgil, per tentare di trovare una soluzione all'aumento del costo della vita dovuto all'inflazione, visto che la Lira si stava pesantemente svalutando nel dopoguerra, portando a un aumento generalizzato dei prezzi. Le gabbie salariali furono abolite nel 1969, per poi sparire definitivamente nel 1972.
Se ne sta parlando ancora sulla spinta della proposta della Lega che, come è spiegato nella relazione illustrativa, non vuole intervenire in alcun modo nei salari di base, ma sulla contrattazione di secondo livello. Ai parametri della "performance individuale, a quella organizzativa e all’effettivo svolgimento di attività particolarmente disagiate", ha spiegato il senatore leghista Romeo, si aggiunge quello "del costo della vita sui beni essenziali", senza "nessuna divisione tra Nord e Sud". Ma i sindacati sono molto critici: "Il Sud è già discriminato dai livelli di disoccupazione, dalla deindustrializzazione, dalle debolezza di reti e infrastrutture, da sanità e servizi che subiranno ulteriori tagli", ha detto Francesca Re David, segretaria confederale della Cgil, promettendo che il sindacato farà di tutto per ostacolare il ddl.
Cosa sono le gabbie salariali e come funzionavano in Italia
Le gabbie salariali sono un meccanismo di calcolo che mette in relazione i salari con determinati parametri, come per esempio il costo della vita. Le gabbie salariali (il sistema all'inizio non aveva questo nome, ma il termine venne utilizzato in un secondo momento per criticare questa logica retributiva) furono introdotte nel 1945 con un accordo tra Confindustria e la CGIL, nel tentativo di frenare l'aumento generale del costo della vita causato dall'inflazione. L'accordo prevedeva che gli stipendi si adeguassero su base territoriale all'aumento effettivo del costo della vita e niente di più. Inizialmente il nuovo sistema era previsto solo per il Nord, poi venne esteso a tutta l’Italia, con il risultato che nei primi anni Sessanta l'Italia era divisa in ‘sette zone salariali', 3 al Nord e 4 al Sud.
L'esigenza nasceva dal fatto che c'era stata una svalutazione della moneta nell'immediato dopoguerra, e questo aveva portato a un aumento generale dei prezzi. Le aziende erano state costrette ad aumentare gli stipendi dei dipendenti, che dovevano fare i conti con costo della vita sempre più insostenibile.
In questo modo però si innescò quello che gli economisti chiamano la spirale prezzi-salari-prezzi: le aziende dovevano compensare gli aumenti salariali con nuovi aumenti dei prezzi, generando un nuovo aumento dell'inflazione e annullando il beneficio per i lavoratori, che si vedevano diminuire il potere di acquisto.
Quando sono state abolite e perché
Le gabbie salariali vennero abolite grazie a fortissime proteste sindacali, che esplosero negli anni Sessanta, con lo slogan ‘stessa paga per uguale lavoro': il sistema generava molte ingiustizie e iniquità, perché un lavoratore del Nord Italia poteva guadagnare di più di uno del Sud, a parità di mansioni. Come ha spiegato Pagella Politica, sulla base delle tabelle degli accordi, a Milano un operaio specializzato nel settore metallurgico guadagnava 21 lire orarie, mentre a Reggio Calabria solo 18,05. Le gabbie salariali”furono abolite il 18 marzo 1969, con un accordo firmato tra Confindustria e i sindacati dei lavoratori Cgil, Cisl e Uil. L'articolo 3 del testo stabiliva che, a partire dal 1 luglio 1972, tutte le differenziazioni zonali sarebbero state soppresse.
Cosa prevede la proposta della Lega sugli stipendi adattati al costo della vita
La Lega ora vorrebbe tornare al sistema degli stipendi adattati in base al costo della vita. A questo proposito ha presentato un disegno di legge "per dare la possibilità alla contrattazione di secondo livello, territoriale e aziendale, di utilizzare il parametro del costo della vita, oltre a quelli già previsti per legge, nell’attribuzione dei trattamenti economici accessori ai dipendenti pubblici e privati", come ha spiegato il senatore Massimiliano Romeo, capogruppo della Lega a Palazzo Madama.
"Chiaramente, il principio della parità retributiva non viene meno. Parliamo infatti di trattamenti economici accessori, che possono essere così riconosciuti ai dipendenti valutando anche il diverso impatto che l’incremento dei costi dei beni essenziali ha sui cittadini, così come si evince dagli indici Istat. Si pensi alle grandi città – ha chiarito il senatore della Lega – dove l’inflazione ha degli effetti differenti rispetto ad altre zone del nostro Paese. Introduciamo con questa norma un elemento nuovo, attribuendo ai lavoratori una somma differenziata in base al luogo in cui ha sede l’azienda, prevedendo per i datori di lavoro privati un credito d’imposta per coprire le spese sostenute. Riteniamo sia una proposta di buonsenso".