Come noto, l’Aula del Senato ha detto no alla richiesta di arresto per Antonio Azzollini, senatore di Area Popolare (che comprende Nuovo Centro Destra e Unione di Centro): determinante è stata la decisione del gruppo del Partito Democratico di lasciare libertà di coscienza ai senatori. Azzollini, che è alla sua quinta legislatura, è stato eletto nelle fila del Popolo della Libertà alle politiche del febbraio 2013 per poi passare con il gruppo di Alfano nel novembre 2013: fino all’8 luglio è stato Presidente della Commissione Bilancio del Senato (si è dimesso proprio a causa della vicenda giudiziaria che lo vede coinvolto) ed è tuttora vicepresidente della Commissione speciale su atti urgenti del Governo.
La vicenda che lo vede coinvolto è stata portata alla luce da una indagine della Procura di Trani (coadiuvata dalla Guardia di Finanza di Bari) cominciata nel dicembre del 2012, che si concentra intorno alla “Congregazione Ancelle della Divina Provvidenza – Opera don Uva”. Si tratta di una onlus gestita da una congregazione ecclesiastica che si occupa dell’assistenza a persone affette da gravi disturbi psichici, tramite la gestione di una serie di strutture sanitarie convenzionate con il Servizio Sanitario Nazionale. In particolare, la Onlus controlla e gestisce case di cura a Foggia, Bisceglie e Potenza, intrattenendo dunque rapporti di collaborazione con le Regioni Puglia e Basilicata. Dalla fine del 2013 la Congregazione è commissariata e a guidarla è il vescovo di Molfetta, Luigi Martella.
La Procura di Trani ipotizza una associazione a delinquere volta all’accumulo di capitali tramite la distrazione di fondi dalle casse della Congregazione e dedita ad una gestione “clientelare” di assunzioni e rapporti di collaborazione. Sotto la lente d’ingrandimento degli investigatori sono finiti conti correnti ed immobili che “secondo l’accusa sarebbero stati fittiziamente intestati ad altri enti ecclesiastici paralleli gestiti dalle suore della Congregazione, nel tentativo di sottrarsi ai creditori e quindi anche allo Stato”. Azzollini sarebbe il “capo indiscusso e indiscutibile dell’associazione a delinquere” e, stando a quanto ipotizzato dalla Procura, avrebbe “assicurato alla Congregazione la proroga legislativa della sospensione degli obblighi fiscali e contributivi per ritardare l’emersione dello stato di dissesto e conseguentemente per neutralizzare la richiesta di fallimento dell’Ente”. Non in subordine, avrebbe fatto assumere alcuni soggetti di sua fiducia in modo da garantirsi il controllo sulla congregazione e “pilotare assunzioni e rapporti negoziali”.
Grande risalto ha avuto presso l’opinione pubblica la frase che sarebbe stata rivolta da Azzollini ad alcune suore: “Da oggi in poi comando io, se no vi piscio in bocca”. Sul punto, il senatore di FI Malan ha provato a spiegare: “Quella famosa frase deriva da un interrogatorio fatto separatamente a un padre e un figlio, presenti nello stesso luogo. Nei due testi le differenze e le cose che non collimano sono tantissime. Compresa quella frase, che uno riporta e l'altro no. Il tutto senza che i pm si siano nemmeno presi la briga di verificare”.
Il 10 giugno di quest’anno la Procura ha notificato al senatore il mandato di arresto per l’accusa di associazione a delinquere finalizzata alla bancarotta fraudolenta. Ovviamente Azzollini, in quanto parlamentare, gode dell’immunità, così come stabilito dalla riforma del 1993, modificata poi nel 2003. In sostanza, mentre resta l’insindacabilità degli atti compiuti (e delle opinioni espresse) nell’esercizio delle proprie funzioni, per le richieste di arresto, di utilizzo delle intercettazioni e delle perquisizioni da parte delle procure è necessario che ad esprimersi sia sempre il Parlamento (prima la Giunta per le immunità, poi l'Aula).
Il fascicolo su Azzollini, che è anche indagato per una vicenda relativa al porto di Molfetta, è stato dunque prima esaminato dalla Giunta per le immunità del Senato: l’otto luglio con 13 voti a 7 l’organismo presieduto da Stefàno (Sel) ha dato parere positivo all’arresto. In quella occasione, determinante è stata la scelta dei membri del Partito Democratico, che hanno votato sì alla custodia cautelare anche sulla scia delle dichiarazioni di esponenti di primo piano del partito.
Il parere finale spettava, come noto, all’assemblea di Palazzo Madama. I senatori avrebbero dovuto esprimersi non sulla colpevolezza o meno di Azzollini o sull’impianto accusatorio nel suo complesso, ma esclusivamente sulla fondatezza della richiesta di custodia cautelare e sull’eventuale esistenza di fumus persecutionis nei confronti del loro collega del Nuovo Centro Destra. Contrariamente a quanto avvenuto in Giunta, il PD ha scelto di lasciare “libertà di coscienza” ai propri senatori, con il risultato di “salvare Azzollini”: i no alla richiesta d’arresto sono stati ben 189, i sì 96, 17 gli astenuti.
Vale la pena di sottolineare come il voto sia avvenuto a scrutinio segreto, circostanza che ha causato ulteriori polemiche fra le forze politiche. La prassi vuole che il voto sia palese (è accaduto ad esempio nel voto su Genovese alla Camera) ma ovviamente resta ferma la possibilità (prevista dal Regolamento del Senato) di chiedere il voto segreto: servono più di 30 senatori e, nel caso di Azzollini, la richiesta è stata appoggiata da ben 70 voti (centristi e Forza Italia).
Il risultato finale ha acceso una rovente polemica politica, non solo tra opposizione M5S – Sel e maggioranza, ma anche all’interno del Partito Democratico. Se i grillini si sono chiesti cosa fosse cambiato in così pochi giorni, ipotizzando che Area Popolare abbia subordinato il suo appoggio al Governo al salvataggio del potente senatore pugliese, in casa democratica il dibattito è stato molto duro. La stessa Deborah Serracchiani ha stigmatizzato la scelta dei senatori democratici, parlando di errore e della necessità di chiedere scusa. Diversa invece la posizione garantista (molto nota, peraltro) di Luigi Manconi.
Per i senatori democratici che hanno votato no all’arresto, dunque, non era fondata l’esigenza della custodia cautelare, dal momento che dalle carte non sarebbe emersa l’esistenza di pericolo di fuga dell'indagato, di inquinamento probatorio o il rischio di reiterazione del reato.
A tali obiezioni ha risposto proprio una senatrice del PD, Lo Moro, che, ribadendo quanto già espresso dal Presidente Stefano nel corso della sua relazione e ricordando che già la Giunta aveva scelto di attendere che la decisione del Riesame, ha chiarito:
Azzollini aveva offerto elementi che avrebbero potuto far pensare alla presenza di fumus persecutionis. Gli elementi da lui portati, però, erano rivolti tutti all’azione della procura di Trani, che si sarebbe mossa – a suo dire – nutrendo pregiudizi nei suoi confronti. Qui, invece, siamo di fronte a un’ordinanza del giudice per le indagini preliminari, un magistrato terzo rispetto alla procura. Per questo, l’ipotesi avanzata da Azzollini non regge.
Tutti gli altri elementi che sono entrati nella discussione non hanno niente a che vedere con il nostro compito, in quanto riguardano il merito della vicenda giudiziaria, che noi non siamo chiamati a valutare.