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Cosa sappiamo dell’offerta MPS per Mediobanca e cosa c’entra il governo Meloni: lo spiega un economista

Monte dei Paschi di Siena, banca il cui azionista principale è il governo, ha fatto un’offerta per Mediobanca, il terzo istituto più grande del Paese che controlla anche una parte di Assicurazioni Generali. La mossa ha fatto scalpore: Fanpage.it ha intervistato l’economista Sandro Sandri per spiegare cosa può succedere adesso e quali effetti ci possono essere per i correntisti.
Intervista a Sandro Sandri
professore ordinario di Finanza aziendale all'Università di Bologna
A cura di Luca Pons
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Nella notte di tra giovedì e venerdì ha iniziato a circolare la notizia che Monte dei Paschi di Siena, tra le principali banche italiane e che ha il ministero dell'Economia come principale azionista, avrebbe fatto un'offerta di scambio per Mediobanca. Nelle prime ore del mattino è arrivata la conferma: la banca senese ha presentato agli azionisti di quella milanese un'offerta di scambio totalitaria, promettendo 2,3 azioni di Mps per ogni azione di Mediobanca che hanno già.

Le trattative sono partite, anche se Mediobanca ha chiarito che l'offerta non era concordata, e che quindi la considera "ostile". Fanpage.it ha intervistato Sandro Sandri, professore ordinario di Finanza aziendale all'Università di Bologna, per provare a chiarire la situazione.

Perché l'operazione tra Monte dei Paschi e Mediobanca fa discutere

Innanzitutto, perché se ne parla tanto? Certamente perché si tratta dell'ottava banca più grande del Paese (per valore) che cerca di prendere il controllo della terza. Un tentativo che non si era mai visto, tanto più con un'offerta "ostile", e che potrebbe cambiare gli equilibri del sistema bancario italiano.

Anche se molti associano al nome di Monte dei Paschi un istituto in crisi, dopo anni difficili che hanno richiesto un vero e proprio salvataggio pubblico, oggi la situazione non è più questa: "Lo Stato ci ha messo tanti soldi – motivo per cui Mps è sottoposta ad attento scrutinio delle autorità competenti – e adesso è una banca enorme. Con questo passo hanno deciso di essere attivi e non passivi", ha detto Sandri.

Se l'acquisizione avvenisse, il nuovo gruppo "diventerebbe di gran lunga il terzo polo bancario del Paese". L'offerta è quindi un passaggio significativo nelrisiko' delle banche italiane. Un gioco di mosse e contromosse che riguarda molti dei grandi istituti del Paese, e di cui si era già parlato a novembre quando Unicredit presentò un'offerta (anche quella "ostile") per Bpm.

In quel caso, però, la linea del governo Meloni fu fredda, quando non apertamente critica, evocando addirittura l'utilizzo del golden power con cui l'esecutivo può bloccare le operazioni economiche in settori di interesse nazionale. Al contrario su Mps il governo non ha commentato, ma è evidente che è favorevole all'operazione, dato che è azionista di maggioranza della banca e il consiglio di amministrazione ha approvato all'unanimità l'offerta.

Cosa c'entra il governo Meloni e qual è il suo obiettivo

Sandri ha messo in evidenza l'aspetto più importante per cui l'operazione ha fatto scalpore: "C'è di mezzo lo Stato, che è il maggior azionista della banca senese". Il ministero dell'Economia e delle Finanze controlla infatti l'11,7% di Mps, più di qualunque altro soggetto singolo.

"Senza mettersi a fare dietrologie sulla linea ‘nazionalista' o meno di questa decisione, è comunque insolito che un ente a partecipazione statale si muova in modo così deciso", ha spiegato. Anche perché, se l'operazione andasse in porto, il governo "arriverebbe ad avere un ruolo importante anche in Assicurazioni Generali". Infatti Mediobanca a sua volta è azionista al 13% della più grande società assicurativa del Paese: una quota abbastanza grande da influire sulle decisioni di gestione.

C'è chi potrebbe iniziare a parlare di una volontà di "nazionalizzare" le banche o le assicurazioni, ma per Sandri al momento "non è il caso di esagerare". La quota di azioni in mano al Mef sarebbe "all'incirca del 5%, i calcoli precisi bisognerà farli con l'offerta e le quote definitive".

In ogni caso il governo resterebbe di fatto "azionista di rilievo di tutto questo nuovo gruppo composto da Monte dei Paschi-Mediobanca-Assicurazioni Generali". L'ingresso dello Stato, con questo peso, nel settore creerebbe "un tumulto non da poco" e porterebbe "ripercussioni che è difficile anticipare". Ma si può dire che "ci sarebbe confusione". E in un campo delicato come quello finanziario e assicurativo, "un aumento dei disaccordi potrebbe tradursi in instabilità per le imprese".

I correntisti devono preoccuparsi?

Su questo punto, Sandri è stato molto netto: "No, non c'è motivo di preoccupazione per i correntisti". Il motivo è che quelle coinvolte "sono tutte banche ricche, non ci sono crisi, qui non si parla di operazioni che portano conseguenze significative per i clienti". Al contrario, ci sono state "promesse di aumenti di dividendi" e di altri benefici per gli azionisti, "ma il nocciolo non è questo".

Queste, ha concluso l'economista, "sono operazioni incentrate sulle dinamiche di potere". Insomma, i clienti di Mps o di Mediobanca possono dormire sonni tranquilli. Per come sta prendendo forma la trattativa, anche se e quando si chiuderà non dovrebbe esserci un grande cambiamento per chi ha un conto.

Cosa c'è dietro la trattativa tra Mps e Mediobanca e come andrà a finire

Ci si chiede anche come sia arrivata questa iniziativa, che Sandri parlando a Fanpage ha definito "decisamente audace". È "impossibile", ha detto, che il governo Meloni "non sia stato consultato in precedenza".

In effetti venerdì l'amministratore delegato Mps, Luigi Lovaglio, ha fatto sapere che già a dicembre 2022, dopo un aumento di capitale della banca, aveva incontrato il ministro Giorgetti: "Gli rappresentai tre opzioni strategiche", ha affermato. La prima era che Monte dei Paschi restasse sola, la seconda una fusione con un'altra banca commerciale, e la terza proprio l'offerta a Mediobanca.

Insomma, quella che è andata in scena sarebbe un'operazione immaginata da anni. E che secondo Sandri non si chiuderà a breve: "Hanno offerto un premio di appena il 5%" rispetto al valore di mercato attuale, "dubito che gli azionisti lo approveranno". Il Cda di Mediobanca ha confermato che si è trattato di un'offerta "ostile", che nel settore significa che non era stata concordata in precedenza. In caso di bocciatura, "servirà un'eventuale nuova offerta. Prima che la vicenda si chiuda sarà lunga". Nel frattempo, i mercati venerdì hanno reagito "malissimo nei confronti di Monte dei Paschi", un altro aspetto che si dovrà tenere in considerazione.

Gli intrecci tra gli azionisti di Mediobanca e Mps

Uno dei punti più complicati da ricostruire in modo chiaro è il gruppo di azionisti che controlla Monte dei Paschi di Siena e Mediobanca. I nomi importanti sono soprattutto due: Caltagirone e Del Vecchio, che "sono azionisti di tutte e due, cosa che complica gli intrecci".

Infatti, il gruppo di Francesco Caltagirone ha il 5% delle azioni di Mps e il 7,8% della banca milanese, oltre al 6,92% di Assicurazioni generali. Invece Delfin, la holding della famiglia Del Vecchio (che guida EssilorLuxottica), controlla il 9,8% di Monte dei Paschi e ben il 19,8% di Mediobanca, oltre al 9,9% di Generali. È chiaro, quindi, che le due famiglie giocano un ruolo centrale nell'operazione che cerca di unire i due istituti di credito.

È una situazione non così rara, nel complesso mercato finanziario italiano. Per complicare il quadro basterebbe aggiungere che la holding Anima, un'azienda del settore del risparmio gestito, controlla circa il 4% di Monte dei Paschi ed è a sua volta per il 20% di Banco Bpm: proprio la banca per cui Unicredit ha fatto un'offerta a novembre. Il punto, insomma, è che quando si parla della trattativa per l'acquisizione di una banca si va a toccare una rete di interessi molto articolati: in questo caso, comunque, resta centrale il ruolo di Caltagirone e Del Vecchio, oltre a quello del governo.

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