Per rispondere a Buonanno, che lascerei volentieri nel suo brodo nero se non fosse europarlamentare eletto con 26.661 preferenze, primo dopo Matteo Salvini, non parlerò dei rom o dei sinti che conosco. Non dirò "quelli che conosco io sono brave persone", perché penso che le esperienze individuali non possano essere esempi estendibili a un'intera comunità. Non parlerò dei rom, o dei sinti, laureati. Neanche di quelli che insegnano all'Università, come qui a Firenze. O di quelli trucidati ad Auscwitz. E non parlerò neanche dei rom, o dei sinti, che lavorano raccogliendo il ferro, o delle donne che lavorano pulendo le nostre case (ma costrette a fingersi marocchine altrimenti nessuno si fiderebbe a lasciare loro le chiavi dell'appartamento).
Per rispondere a Buonanno, e a chi lo ha applaudito, non parlerò neanche dei rom, o dei sinti, che vivono nelle case, di proprietà o in affitto. Non parlerò dei rom, o dei sinti, che sono attori e attrici, anche in Italia. Come Djana Pavlovic (e che lo voglio dire anche se le femministe s'incazzeranno, è anche molto bella).
Dunque per rispondere a Buonanno non parlerò dei rom, e dei sinti, che costituiscono una grande fetta dei rom, e dei sinti, italiani. Parlerò solo di quella parte più visibile, quella che salta agli occhi, quella con le gonne grandi, quella che a odorarla puzza un po' (e del resto se tagli loro l'acqua, o non gliela dai riscaldata, non puoi pretendere che si lavino con l'acqua invisibile sotto la doccia che non c'è all'aperto in mezzo al campo sotto sgombero).
Caro Buonanno, e voi che lo avete applaudito, riflettete. La feccia dell'umanità non sono i più poveri, neanche quando chiedono l'elemosina. E, pensate un po', non lo sono neanche quando, nel farlo, risultano un po' insistenti. E magari fastidiosi, sì, anche fastidiosi, con quell'insopportabile insistenza di chi ha perso tutto o non ha mai avuto niente. Quella condizione che noi non conosciamo ma che temiamo più della peste, perché sappiamo che avremmo potuto esserci noi, al loro posto. E che se non ci siamo è per un disordine innaturale delle cose. Perché abbiamo avuto fortuna, certo, ma anche perché abbiamo costruito la nostra fortuna sulle disgrazie degli altri, talvolta creandole (come quando abbiamo bombardato l'ex Jugoslavia e le case dei tanti rom che poi, senza più una casa, sono arrivati qui e noi abbiamo creato i primi "campi rom" come li conosciamo adesso).
Caro Buonanno, lo so che è fastidioso quando qualcuno ci chiede un euro di elemosina e noi abbiamo le mani occupate dai sacchetti della nostra spesa. E magari in quei sacchetti risiede un acquisto di merendine inutili per tacitare il piagnucolare di un figlio insistente. E' fastidioso, quel loro chiedere l'elemosina, perché ci riporta alla realtà del necessario.
E lo so che vedere un rom che fuma, o che spende i suoi pochi spiccioli a una macchinetta da gioco, o che compra un pollo intero invece di metà, e poi lo mangia e ne lascia quasi metà, le dà fastidio. Ma anche in questi casi estremi, rifletta. Non può pretendere di fare il cane da guardia della lista della spesa delle persone, soprattutto quando la privazione costante del denaro ha contribuito a renderle inesperte nella sua corretta gestione. Quella gestione che noi ci possiamo permettere perché in fondo sappiamo cosa significa avere cinquanta euro in più nel portafoglio, o cosa significa scegliere fra una marca di vino e un'altra. Oppure cosa significa mettere i pantaloni in lavatrice e ritrovarci dieci euro sbiancate. E riuscire a riderci senza drammi.
Siamo fortunati, noi, caro Buonanno, altroché se siamo fortunati, e le nostre abilità c'entrano davvero poco, nel guizzo della fortuna che ci è capitata addosso. In Toscana si dice "i poveri sono i primi alle forche e gli ultimi a tavola". Che è simile a un detto di mia nonna, che diceva "i poveri sono becchi e bastonati", perché le prendono da tutti. Le prendono dai ricchi (come lei), e dalla vita. E dopo averle prese restano comunque poveri, indecisi se privilegiare il desinare o la cena. E un povero "a farlo comparir birbone ci vuole poco", come diceva Manzoni. Perciò il suo urlare sguaiato non è niente di speciale, perché è facile raccogliere applausi gridando contro l'emarginato, perché la gente, applaudendo chi grida, pensa di scacciare il mostro della paura. Quando invece, la mostruosità, è proprio quella che stanno riverendo con lo schiocco delle loro mani.
Ci pensi, Buonanno, ci pensi.