Cosa prevede la riforma costituzionale del governo Meloni e cosa succede adesso
Secondo Giorgia Meloni la riforma costituzionale, approvata in Consiglio dei ministri, è "la madre di tutte le riforme". L'elezione diretta del presidente del Consiglio è sicuramente il nocciolo del disegno di legge, ma il progetto del governo non riguarda solamente il premierato, ma interviene anche sui senatori a vita e sui compiti e le facoltà del presidente della Repubblica. L'obiettivo, hanno spiegato Meloni e la ministra per le Riforme istituzionali, Maria Elisabetta Casellati, è quello di dare al Paese maggiore stabilità, mettendo fine a una stagione di governi che durano in media poco più di un anno.
"La riforma garantisce due grandi obiettivi: il diritto dei cittadini a decidere da chi farsi governare, mettendo fine al gioco dei ribaltoni, ai giochi di palazzo o ai governi arcobaleno e tecnici, governi passati sulla testa dei cittadini per decidere cose che i cittadini non avevano chiesto. La riforma consente inoltre che chi governa possa governare con un'orizzonte di legislatura, dunque abbia 5 anni per realizzare un progetto e dare stabilità, una condizione sostanziale per garantire strategia e guadagnare credibilità", ha spiegato Meloni, sottolineando che un orizzonte di legislatura breve non solo renda impossibile realizzare i progetti elettorali, ma crei anche un problema a livello di credibilità internazionale e, di conseguenza, di investimenti.
Ma cosa prevede nello specifico la riforma costituzionale del governo Meloni?
L'elezione diretta del presidente del Consiglio
Partiamo dalla principale novità del disegno di legge, cioè l'elezione diretta del presidente del Consiglio. Attualmente il premier viene nominato dal presidente della Repubblica, che – tenendo conto della composizione del Parlamento – affida l'incarico al termine di una serie di consultazioni con i rappresentanti delle diverse forze politiche, un giro di colloqui che servono a capire chi possa avere il consenso della maggioranza. È la Costituzione a sancire le modalità con cui si formano i governi. Il governo, per cambiarle, vuole modificare gli articoli 92 e 94.
Iniziamo dall'articolo 92 della Carta Costituzionale: al momento questo stabilisce che sia il presidente della Repubblica a nominare quello del Consiglio e, su proposta di quest'ultimo, i ministri. La maggioranza vuole però riscriverlo per far sì che il premier sia eletto a suffragio universale. La votazione avverrebbe insieme a quella per il rinnovo delle Camere tramite un'unica scheda ed è previsto un premio di maggioranza del 55%, per garantire appunto maggiore stabilità a chi governa.
La durata delle legislatura resterebbe di cinque anni e al capo dello Stato verrebbe sempre riconosciuto l'incarico di assegnare al presidente del Consiglio il compito di formare il governo.
L’articolo 92 della Costituzione è sostituito dal seguente:
“Il Governo della Repubblica è composto dal Presidente del Consiglio e dai Ministri, che costituiscono insieme il Consiglio dei Ministri.
Il Presidente del Consiglio è eletto a suffragio universale e diretto per la durata di cinque anni. Le votazioni per l’elezione del Presidente del Consiglio e delle Camere avvengono tramite un’unica scheda elettorale. La legge disciplina il sistema elettorale delle Camere secondo i principi di rappresentatività e governabilità e in modo che un premio, assegnato su base nazionale, garantisca il 55 per cento dei seggi nelle Camere alle liste e ai candidati collegati al Presidente del Consiglio dei Ministri. Il Presidente del Consiglio dei Ministri è eletto nella Camera nella quale ha presentato la sua candidatura.
Il Presidente della Repubblica conferisce al Presidente del Consiglio dei Ministri eletto l’incarico di formare il Governo e nomina, su proposta del Presidente del Consiglio, i Ministri.”.
Anche l'articolo 94 verrebbe modificato dalla riforma costituzionale del governo Meloni. In particolare per quanto riguarda il terzo comma, cioè quello per cui "entro dieci giorni dalla sua formazione il Governo si presenta alle Camere per ottenerne la fiducia": nel disegno di legge si stabilisce che, nel caso in cui il governo del presidente eletto non ricevesse la fiducia in Parlamento, il presidente della Repubblica dovrebbe rinnovare l'incarico del presidente eletto per la formazione del governo. Se anche in tal caso la mozione di fiducia non venisse approvata, il capo dello Stato dovrebbe sciogliere le Camere.
All’articolo 94 della Costituzione sono apportate le seguenti modifiche:
A) Il terzo comma è sostituito dal seguente: “Entro dieci giorni dalla sua formazione il Governo si presenta alle Camere per ottenerne la fiducia. Nel caso in cui non venga approvata la mozione di fiducia al Governo presieduto dal Presidente eletto, il Presidente della Repubblica rinnova l’incarico al Presidente eletto di formare il Governo. Qualora anche quest’ultimo non ottenga la fiducia delle Camere, il Presidente della Repubblica procede allo scioglimento delle Camere.”;
B) dopo l’ultimo comma è aggiunto il seguente: “In caso di cessazione dalla carica del Presidente del Consiglio eletto, il Presidente delle Repubblica può conferire l’incarico di formare il Governo al Presidente del Consiglio dimissionario o a un altro parlamentare che è stato candidato in collegamento al Presidente eletto, per attuare le dichiarazioni relative all'indirizzo politico e agli impegni programmatici su cui il Governo del Presidente eletto ha ottenuto la fiducia. Qualora il Governo così nominato non ottenga la fiducia e negli altri casi di cessazione dalla carica del Presidente del Consiglio subentrante, il Presidente della Repubblica procede allo scioglimento delle
Camere.”
Una nuova legge elettorale
Chiaramente, come anticipato, l'approvazione della riforma presuppone anche la modifica della legge elettorale. Palazzo Chigi ha specificato che il ddl "affida alla legge la determinazione di un sistema elettorale delle Camere che, attraverso un premio assegnato su base nazionale, assicuri al partito o alla coalizione di partiti collegati al Presidente del Consiglio il 55% dei seggi parlamentari, in modo da assicurare la governabilità".
Cosa cambia per il Presidente della Repubblica
Il progetto di riforma costituzionale riguarda anche le facoltà del presidente della Repubblica. Si modifica l'articolo 88 della Carta, per cui il capo dello Stato – a meno che non sia negli ultimi sei mesi del suo mandato – può sciogliere le Camere o anche solo una di esse. "Al primo comma dell’articolo 88 della Costituzione sono soppresse le parole “o anche una
sola di esse”", recita il testo approvato dal Cdm.
La ministra Casellati, in conferenza stampa, ha sottolineato che il ddl costituzionale "è ispirato ad un criterio di cambiamento minimale della Costituzione nella convinzione che si debba operare in continuità con la nostra storia costituzionale" e che "gli interventi si debbano limitare solo a quelli strettamente necessari". Per quanto riguarda il capo dello Stato, Casellati ha assicurato che i suoi poteri – quelli di "una figura che resta e deve restare chiave dell'unità nazionale" – saranno "preservati".
Meloni, da parte sua, ha detto che "il ruolo del presidente della Repubblica è di assoluta garanzia e noi abbiamo deciso di non toccarne le competenze, salvo l'incarico al presidente del Consiglio".
Addio ai senatori a vita nominati dal capo dello Stato
Il ddl costituzionale, infine, abroga il secondo comma dell'articolo 59 della Carta e così facendo elimina la possibilità (per il presidente della Repubblica) di nominare fino a un massimo di cinque senatori a vita "che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario". La carica rimane quindi solo per gli ex capi di Stato.
Il principio di "costituzionalizzazione del programma di governo"
Meloni ha anche parlato di un altro principio che guiderà la riforma, cioè quello di costituzionalizzazione del programma di governo. Questo significa che nel caso di un nuovo premier nel corso di una stessa legislatura "si garantisce che in ogni caso non si cambi linea politica nell'arco del quinquennio".
Nel comunicato di Palazzo Chigi, inoltre, si precisa che il ddl "garantisce il rispetto del voto popolare e la continuità del mandato elettorale conferito dagli elettori, prevedendo che il Presidente del Consiglio dei ministri in carica possa essere sostituito solo da un parlamentare della maggioranza e solo al fine di proseguire nell’attuazione del medesimo programma di Governo".
Cosa succede adesso: l'iter e i precedenti
Giorgia Meloni ha detto di confidare "in un consenso ampio in Parlamento", altrimenti si è detta pronta ad andare avanti "con un referendum". L'iter alla Camera e al Senato, ad ogni modo, è ancora lungo. Essendo un disegno di legge che andrebbe a modificare la Costituzione, per essere approvato avrà bisogno del via libera di entrambe le Camere a maggioranza qualificata, cioè di almeno due terzi dei componenti. Se ciò non accade è possibile – ma deve farlo almeno un quinto dei parlamentari – indire un referendum confermativo per l'approvazione. È l'articolo 138 della Costituzione a stabilire questi passaggi:
Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione.
L'ultimo tentativo di riforma costituzionale, naufragato al referendum, è stato quello di Matteo Renzi del 2016, che si prefiggeva di superare il bicameralismo (con il Senato che sarebbe diventato una mera rappresentanza delle istituzioni territoriali), ridurre i numero dei parlamentari, eliminare il Cnel e attuare la revisione del titolo V della Carta.
Nel 2020 ha invece vinto il "sì" al referendum costituzionale per il taglio dei parlamentari. Il testo di legge costituzionale era stato approvato in Parlamento l'anno precedente e ha previsto il taglio del 36,5% di entrambi i rami del Parlamento: i seggi della Camera sono passati da 630 a 400, mentre quelli del Senato da 315 a 200.