Jonathan Pacifici è un imprenditore italo israeliano, si occupa di start up e innovazione tecnologica, ed è a capo del Jewish Economic Forum (JEF). In questo mese e più di guerra tra Israele e Hamas, si è distinto per far sentire la sua voce sui media italiani per sostenere le ragioni dell'intervento militare a Gaza, ma si è anche distinto per la diffusione sui social di diverse fake news. Ad esempio ha più volte twittato contenuti e video che sostenevano come i morti civili a Gaza fossero delle messe in scena fatte da attori, rilanciando la bufala di Pallywood.
Il controverso video contro Amnesty International
La massima notorietà in queste settimane l'ha raggiunta quando ha diffuso per primo il controverso video che mostra alcune dialogatrici di Amnesty International, cestinare dei volantini con i volti degli ostaggi rapiti da Hamas, messi sul loro banchetto da una persona con fare decisamente intimidatorio. Pochi minuti e il filmato viene diffuso da account e network impegnati nel sostegno al governo di destra israeliano, come ad esempio Visegrad24.
La scena, per chi ha un po' di dimestichezza con il dibattito e la propagando online attorno alle ragioni della guerra e della pace, non è nuova. Sono stati diffusi decine di video con scene simili: sempre gli stessi manifesti affissi in diversi luoghi, comprese le università in Inghilterra o negli Stati Uniti, e i video di chi li strappa o delle discussioni attorno alla loro presenza.
(Nota bene: ci sarà sicuramente chi vuole strappare i manifesti con i volti degli ostaggi perché mosso da autentico odio antisemita. Senza dubbio c'è anche chi si sente disturbato dalla loro presenza perché sa, purtroppo, che le organizzazioni che li affiggono usano quei volti e quei corpi inermi per giustificare un massacro di civili condannato dall'Onu, facendo finta di non sapere che i parenti di uomini, donne e bambini, scampati al massacro del 7 ottobre di Hamas e ora tenuti prigionieri, in Israele chiedono di interrompere l'escalation militare per trattare).
Ultra nazionalismo e affari
Ma torniamo a noi. Dicevamo, Jonathan Pacifici si presenta così sul sito della sua società di servizi per le imprese: "È consulente di società multinazionali in materia di innovazione, sviluppo del business e affari internazionali ed è membro del consiglio di amministrazione di diverse società internazionali. È anche un leader della sua comunità e un opinion maker all'interno della comunità ebraica sia in Israele che all'estero". Chi lo abbia eletto leader e portavoce informale della comunità ebraica non è chiaro, ma quello che è chiaro è che si prodiga molto in questo ruolo. Per lui la grandezza di Israele e il suo successo negli affari d'altronde sono una cosa sola.
Israele come "start up nation"
Per capire chi è e cosa pensa questo portavoce degli interessi israeliani in Italia vale la pena sfogliare il suo ultimo libro, auto pubblicato e distribuito su Amazon dal titolo "La Superpotenza Israele". Partiamo dall'incipit: “Nel 75esimo anno dalla fondazione, Israele è oggi più forte che mai”. E in effetti il volume sembra una sorta di brochure patinata, che mette insieme temi nazionalisti con le allettanti condizioni che Israele offre agli investitori.
Ecco un esempio della retorica utilizzata: "Oggi il pianeta guarda con stupore al miracolo Israele. Non noi, non il popolo ebraico. Da quattromila anni abbiamo sistematicamente sconfitto ogni teoria che ci dava troppo piccoli, troppo deboli, troppo insignificanti, troppo fastidiosi per sopravvivere. (…) La sopravvivenza del popolo ebraico è un mistero sul quale sono stati scritti un’infinita di libri. Sul miracolo della meteorica ascesa dello Stato di Israele al gotha delle potenze si scriverà sicuramente nei prossimi anni".
Per Pacifici – che si occupa non a caso di settori di sviluppo ad alta tecnologia, militare e civile, e digitale – Israele è una "start up nation", una visione in cui mischia le idee della destra della Silicon Valley con il millenarismo ebraico. In tutta l'azione di imprenditori come Peter Thiel o Elon Musk, è sempre presente la tensione a immaginare un mondo costruito e progettato da zero in un luogo vergine, adatto alle proprie idee e aspirazioni, allo stesso modo in cui le start up che hanno lanciato hanno inventato nuovi settori di investimento e sviluppo. Il manuale per fondare una start up di successo scritto da Thiel non a caso si intitola "Da 0 a 1".
I palestinesi non esistono
Peccato che Israele non sia un territorio vergine, ma sia uno stato nato al termine, e in mezzo, a conflitti militari e civili. Che tutt'ora occupi illegalmente importanti porzioni di territorio, e che continui incessantemente la colonizzazione illegale dei territori palestinesi. La startup nation conosce livelli di crescita economica significativi, ma questo avviene anche al prezzo di drammatiche disuguaglianze. La copertina del libro Pacifici è il ritratto di una sfavillante città tech, tra fontane, alberature fiorenti e avveniristici edifici. Chi conosce Israele però conosce anche le sue periferie, la povertà che vi risiede, l'emarginazione di ampi settori della popolazione, per non parlare ovviamente dell'apartheid dei palestinesi che vivono nei territori.
Ma nel paese idilliaco proposto dal portavoce del JEF agli investitori di tutto il mondo, semplicemente i palestinesi e la questione palestinese non esistono. L'unica volta che il tema viene citato è in riferimento agli Accordi di Abramo, quando viene sottolineato che nelle condizioni poste dagli Emirati Arabi non c'è spazio per i diritti dei palestinesi. Ovviamente di questi accordi Pacifici è un grande fan, e vorrebbe fare di Israele un paese che sembra assomigliare più agli Emirati Arabi Uniti che a una democrazia occidentale, con la ricchezza e il potere concentrati in pochissime mani, e tutti gli altri condannati a essere invisibili.
La passione per le petromonarchie (con buona pace della democrazia)
Nel libro l'imprenditore non riesce proprio a trattenersi dall'elogiare in ogni modo gli Emirati Arabi Uniti: “Mi sento più di casa, più capito, più rispettato a Dubai che nella mia natia Italia”. Forse perché a Dubai è un uomo d'affari per il quale serve riguardo, e non si pone neanche il problema di come vivano donne, migranti, lavorati e disoccupati, oltre gli sfavillanti e ricchi palazzi dove alloggia e dove è invitato. Altrove nel volume ecco tornare il modello della petromonarchia amica, quando raccomanda ai ricchi di venire in Israele perché si pagano poche tasse: “Secondo un recente studio, quest’anno gli Emirati Arabi attireranno un afflusso netto di 4.000 milionari, più di ogni altro paese al mondo, 2.500 potrebbero trasferirsi in Israele, ebrei russi ed ucraini che beneficeranno della “legge del ritorno” con annessa clausola dei 10 anni di tax benefits".
L'autore spera presto che gli Accordi di Abramo possano allargarsi anche a Riad, e non riesce a non far trasparire la voglia che ha di muovere capitali sauditi in Israele e viceversa. D'altronde non sembra preoccuparsi mai di questioni come i diritti umani e la democrazia, ma solo degli affari.
Un libro invecchiato malissimo
Drammaticamente il libro, uscito nel marzo 2023, è invecchiato malissimo: oggi, con la guerra a Gaza in corso, è proprio la normalizzazione dei rapporti di Israele con il mondo arabo a essere a rischio. E questo perché si è fatto finta che la questione palestinese fosse risolta, che milioni di uomini e donne non esistessero, come ha spiegato Gad Lerner in un'intervista al nostro giornale: "Quando tu hai una pentola a pressione sul fuoco, magari la tieni a fuoco lento e pensi tanto la tengo sotto controllo. Ha un coperchio robusto. Ho una superiorità militare, tecnologica, economica soverchiante. Sono persone che siamo in grado di sottomettere i palestinesi… Pensi di vivere in paradiso, mentre intorno c'è l'inferno. Poi arriva il giorno, del tutto inaspettato, in cui salta per aria il coperchio".
Ancora Pacifici si vanta di come "la crisi ucraina rappresenta un punto di svolta per la proiezione globale del soft-tech-power israeliano”. Descrive la linea rossa Mosca-Tel Aviv come indispensabile per possibili mediazioni, si compiace della fiducia che ha Putin negli interlocutori israeliani. Anche in questo caso in pochi mesi è cambiato tutto, e abbiamo visto Vladimir Putin accogliere i rappresentanti di Hamas al Cremlino. Niente più linea rossa e grande capacità diplomatica.
Ma la cosa che fa più impressione della brochure per investitori formato saggio di Pacifici, è la capacità di descrivere con entusiasmo un "ethos collettivo" israeliano, uno spirito unitario e nazionale, che poche settimane la pubblicazione dopo sarebbe andato in frantumi di fronte all'evidenza di una società spaccata in due tra i sostenitori del suo beniamino, Benjamin Netanyahu, e tutti gli altri. Un paese dilaniato da mesi di proteste contro la riforma della giustizia, e contro gli effetti della presenza dell'estrema destra suprematista, razzista e omofoba al governo. Una protesta che per la prima volta ha coinvolto anche riservisti, elementi dell'Idf e dei servizi di sicurezza, che ha spaccato in due il paese polarizzando il dibattito come mai era accaduto prima.
Conta solo il potere militare
Arrivando in fondo si capisce che per Jonathan Pacifici i palestinesi sono solo un ostacolo per la costruzione della "start up nation" che sogna. Per questo forse riesce a sostenere senza battere ciglio che i bambini morti sotto le bombe dell'IDF sono una messa in scena, o a non preoccuparsi della catena infinita di lutti e morte che continua a dispiegarsi. La superiorità militare e tecnologica basterà a suo avviso a garantire il futuro di Israele e la sua prosperità. Forse ha ragione. Ma a quale prezzo? E immaginando quale futuro per chi abita in Israele, a Gaza, in Cisgiordania?