Cosa non torna nella ricostruzione di Conte sul Russiagate: dal ruolo di Mifsud alle richieste USA
Nella conferenza stampa a palazzo Chigi al termine della sua audizione al Copasir, il premier Giuseppe Conte prova a chiudere definitivamente il caso del cosiddetto Russiagate. Ma nel tentativo di chiarire il perché ha autorizzato due incontri tra il ministro della Giustizia Usa William Barr e i vertici dei nostri servizi segreti a cavallo tra agosto e settembre scorsi, Conte incappa in un’evidente contraddizione.
Come noto la vicenda ha al centro il professore maltese Joseph Mifsud che nel marzo 2016 – mentre insegnava alla Link University di Roma – avrebbe offerto a uomini dello staff di Trump in trasferta nella capitale mail compromettenti trafugate dalla casella di Hillary Clinton, la competitor dell’allora candidato alla presidenza degli Stati Uniti. L’ipotesi dell’amministrazione Trump è che quella di Mifsud fosse in realtà una polpetta avvelenata ordita da settori dei servizi segreti occidentali per incastrare il futuro presidente Usa. Per indagare su questa tesi, Barr viene due volte in Italia una il 15 agosto e l’altra il 27 settembre di quest'anno, e si vede con i capi della nostra intelligence. Il primo incontro è con il direttore del Dis Vecchione il secondo è allargato anche ai vertici dell’Aisi e dell’Aise.
“La richiesta di Barr era quella di verificare l’operato degli agenti americani, non si voleva mettere in discussione l’azione delle autorità italiane in questa vicenda”, dice Conte aprendo la conferenza stampa. Tuttavia pochi minuti dopo, nel tirare le somme dei faccia a faccia tra il ministro Usa e i nostri 007, il premier sembra smentire se stesso, quando spiega che “è stato chiarito, alla luce delle verifiche fatte, che la nostra intelligence, è estranea a questa vicenda. Questa estraneità ci è stata riconosciuta anche dagli Stati Uniti”.
Perché se le richieste di Barr riguardavano solo gli agenti segreti Usa presenti sul nostro territorio, le verifiche e le risposte fornite al ministro della Giustizia al contrario sarebbero state incentrate sull’operato degli 007 italiani? Detto più chiaramente, cosa volevano davvero sapere da noi gli americani?
Di fronte alla contestazione su questo punto in conferenza stampa, Conte ribatte che “ci poteva essere l’eventualità che gli agenti Usa di istanza sul nostro territorio avessero collaborato con i nostri servizi”. Pare di capire dunque che in realtà il comportamento degli agenti italiani sia finito eccome sotto la lente dell’amministrazione Trump. Ma collaborare per fare cosa? Prosegue Conte: “Se ci fossero state attività presuntamente illecite che coinvolgevano i nostri agenti, avrei avuto l’obbligo di segnalarle all’autorità giudiziaria”. Incalzato dalle domande, il premier sembra ammettere che l’ipotesi degli americani fosse proprio questa, ovvero che 007 Usa attivi a Roma avessero compiuto azioni illegali con l’aiuto di alcuni nostri uomini. Conte però non chiarisce a quali episodi si riferissero queste ipotesi. L’offerta delle mail della Clinton da parte di Mifsud? La successiva misteriosa sparizione del professore maltese, irreperibile ormai dall’ottobre 2017? O ancora i rapporti tra Mifsud e la Link University? In ogni caso, precisa subito Conte, l’eventualità che un qualche atto illegale da parte dei nostri servizi non ha trovato nessun riscontro.
Per il resto, il premier rivendica prima davanti al Copasir e poi con la stampa l’assoluta legalità e correttezza delle sue scelte, in particolare nell’aver avvallato i meeting tra il ministro della Giustizia Usa e i vertici dei nostri apparati di sicurezza. “Se tornassi indietro non potrei fare diversamente – spiega Conte -, i nostri alleati stanno conducendo un’indagine su questo, Barr è anche responsabile del Fbi e la sua è una tipica attività di intelligence”. E conclude: “Se ci fossimo rifiutati di sederci al tavolo avremo recato un danno alla nostra intelligence e commesso una grave scortesia istituzionale verso un alleato storico con cui interloquiamo quotidianamente”
Il premier risponde poi alle accuse per non aver informato né suoi ministri né gli organi parlamentari circa ciò che stava accadendo. Lo fa rivendicando, a norma di legge, “la responsabilità generale dell’informazione per la sicurezza”, che non può essere condivisa con nessun ministro o leader politico. “Io sono stato quasi costretto a riferire al Copasir a causa della rilevanza mediatica che ha assunto la vicenda”, si difende Conte.
Basteranno le spiegazioni fornite dal premier per chiudere il caso? Fonti dell’opposizione si mantengono caute facendo sapere che per tirare le somme si aspetteranno anche le audizioni dei capi dei nostri servizi segreti davanti al Comitato Parlamentare per la Sicurezza della Repubblica già previste per le prossime settimane. Ma nel frattempo altre novità potrebbero arrivare da Oltreoceano, dove da giorni si ipotizza la possibile pubblicazione sulla stampa di stralci del rapporto che Barr potrebbe aver redatto a seguito delle trasferte italiane. “Probabilmente su questa storia ne sapremo più dagli Stati Uniti che da casa nostra”, aveva profetizzato qualche giorno ai microfoni di Fanpage l’ex sottosegretario alla Presidenza del Consiglio del governo gialloverde, il leghista Giancarlo Giorgetti