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Elezione del Presidente della Repubblica 2022

Perché la strategia di Silvio Berlusconi per diventare Presidente della Repubblica è destinata a fallire

Silvio Berlusconi non sta bluffando, vuole davvero tentare di diventare Presidente della Repubblica con un blitz dopo le prime tre votazioni. La strategia è chiara, ma destinata a fallire. Proviamo a capire il perché.
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Mancano meno di due settimane all’avvio delle operazioni per l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica e l’opinione comune è che siamo di fronte a uno stallo alla messicana, in cui tutti hanno paura a fare la prima mossa. In realtà, se la situazione sembra essere ancora piuttosto fluida, ci sono già dei punti fermi in quella che si annuncia essere una partita molto complessa, ma non necessariamente lunga. C’è l’esplicita volontà del Presidente Sergio Mattarella di non accettare un secondo mandato, neanche a tempo sul modello Napolitano; c’è la (non esplicita ma granitica) volontà di Mario Draghi di sedersi sulla poltrona del Quirinale; c’è la volontà di Silvio Berlusconi di giocarsi fino in fondo le proprie carte, in quella che ormai è diventata una vera questione personale.

È da quest’ultimo che bisogna partire per provare a capire cosa sta succedendo in questi giorni. Il Cavaliere è impegnato contemporaneamente su tre fronti: convincere i propri alleati della spendibilità del proprio nome, prospettare a Mario Draghi un prolungamento della sua presenza a Palazzo Chigi, sabotare ogni tentativo di giungere a un nome condiviso con il Partito democratico. Queste tre tessere devono incastrarsi contemporaneamente, ma non sarà affatto semplice. Le cronache di questi giorni concordano su un punto: Berlusconi non considera la sua come una candidatura di bandiera, non mira a un’uscita di scena degna, bensì è convinto di poter essere competitivo alla prova del voto. Mentre i suoi fedelissimi lavorano per recuperare i voti che mancano sulla carta, lui è impegnato senza sosta per convincere Salvini e Meloni. I quali, per usare un eufemismo, sono piuttosto perplessi circa le reali potenzialità della candidatura del Cavaliere.

Prendiamo come esempio la posizione di Matteo Salvini. Poche ore fa ha rilasciato una dichiarazione che parrebbe inequivocabile: “Centrodestra compatto e convinto nel sostegno a Berlusconi, non si accettano veti ideologici da parte della sinistra. Spero che nessun segretario e nessun partito si sottraggano al confronto ed alla responsabilità”. Allo stesso tempo, però, il leader leghista si è fatto portatore dell’unica vera proposta in grado di salvare la legislatura nel caso in cui Mario Draghi dovesse essere eletto al Quirinale, depotenziando, dunque, la sola arma di Berlusconi per combattere la candidatura dell’attuale Presidente del Consiglio. Come noto, infatti, il Cavaliere ha più volte ribadito che in caso di elezione di Draghi non ci sarebbero più le condizioni per la presenza di Forza Italia in maggioranza. Il senso è: se eleggiamo il Presidente del Consiglio al Quirinale la legislatura finisce, si va al voto e si getta il Paese nel caos, in un momento complicato tra pandemia e attuazione del Pnrr.

Ebbene, l’unica vera alternativa a uno scenario di questo tipo l’ha paradossalmente fornita proprio Matteo Salvini, che ha disegnato il governo del prossimo anno a prescindere dal nome del futuro/a Presidente del Consiglio: un esecutivo di responsabilità nazionale con dentro tutti i principali leader politici. Una specie di revisione del Conte I, quando i due leader dei partiti di maggioranza affiancarono direttamente come vicepresidenti il nome "debole", che calzerebbe a pennello per il dopo Draghi: il nuovo governo (a guida Franco, Cartabia o altri non avrebbe molta importanza) si muoverebbe in continuità con il precedente, la maggioranza resterebbe ampia e i partiti sarebbero tutelati dalla presenza dei loro numeri uno. Non è un caso che il leader leghista cerchi da giorni di spingere il Pd e il M5s a esporsi su una soluzione di questo tipo: con la rassicurazione della prosecuzione della legislatura con gli stessi equilibri, Draghi avrebbe un'autostrada per il Quirinale e a Berlusconi non resterebbe che prenderne atto.

Mario Draghi è in pole per la Presidenza della Repubblica

D'altro canto, i democratici e i grillini continuano a non avere una strategia chiara, figurarsi un ventaglio di soluzioni. Letta si è esposto su Berlusconi, trincerandosi dietro la necessità del "nome condiviso", Conte deve prima capire fino a che punto controlla i suoi Grandi Elettori. Non è un mistero che entrambi sperino ancora che sia Mattarella a risolvere i loro problemi, accettando un bis a tempo e permettendo a Draghi di completare la legislatura per poi essere eletto al Quirinale. Il problema è che, almeno al momento, si tratta di vane speranze, per due ragioni solidissime.

In primo luogo il Capo dello Stato è parso irremovibile: sette anni sono abbastanza, il Parlamento è pienamente nelle condizioni di scegliere il suo successore e non ha alcuna intenzione di essere ricordato come l'uomo delle forzature, ma come quello della difesa degli equilibri e delle prassi istituzionali sopra ogni cosa. Certo, ci proveranno ancora e, se le cose dovessero complicarsi molto (come avvenuto per Napolitano), potrebbero magicamente spuntare centinaia di schede col nome Mattarella per convincere il Presidente a un ultimo sacrificio. Ma resta anche un altro ostacolo, enorme anch'esso: Mario Draghi non si fida e non si vuole prestare a un giochetto di questo tipo, soprattutto perché non sarebbe affatto scontata una sua elezione nella prossima legislatura. I sondaggi, del resto, continuano a restituire l'idea dell'ineluttabile vittoria del centrodestra alle prossime politiche e, specie se la bilancia pendesse dalla parte di Fratelli d'Italia, immaginare Meloni e Salvini come queen/king maker di Draghi al Quirinale è piuttosto arduo. Anche perché a quel punto l'ex uomo forte della Bce non avrebbe neanche l'appoggio di Berlusconi, cui avrebbe negato il sogno di una riabilitazione totale.

Insomma, al momento sappiamo che c'è una candidatura forte in campo, quella di Berlusconi, che allontana ogni ipotesi di nome condiviso ai primi tre scrutini, incluso quello di Draghi. Il Cavaliere sembra volersi andare a schiantare al quarto, dove non ha possibilità di essere eletto e rischia anche di essere impallinato da decine e decine di franchi tiratori. Al quinto, la partita potrebbe essere più chiusa del previsto: se Draghi si muove, tutto il resto conterà meno.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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