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Elezioni politiche 2022

Cosa ne sarà di donne e minoranze nell’Italia di Giorgia Meloni

Il futuro che si prospetta per le donne e le minoranze con un governo di estrema destra non è dei migliori. Il programma di Fratelli d’Italia e di Giorgia Meloni dimostra che il genere non è affatto garanzia di una gestione del potere non ostile alle donne.
A cura di Jennifer Guerra
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La più convulsa e sconfortante campagna elettorale di sempre è appena cominciata. In questa fase sembra che l’unica cosa che conta, anche a causa della legge elettorale che favorisce le grandi coalizioni, siano i nomi delle alleanze, i ricatti, le condizioni. Capire cosa propongono i partiti per il futuro è diventato assai difficile. Se è vero che l’effettiva validità dei programmi elettorali è molto limitata una volta conquistato il seggio, restano comunque un buon indicatore più ideologico che pratico.

Nei giorni scorsi, sui social, è circolato il programma che Fratelli d’Italia presentò nel 2018 e che è ancora linkato sul sito del partito. Qualcosa cambierà di sicuro, ma quel testo, se integrato al più recente documento Appunti per un programma conservatore, dà comunque l’idea di come sarà l’Italia del futuro in un eventuale governo Meloni. Un governo che, pur avendo una donna alla guida, proprio per le donne e le minoranze si prospetta tutt’altro che favorevole.

Nel 2018, la priorità di Fratelli d’Italia era il "più imponente piano di sostegno alle famiglie e alla natalità della storia d’Italia". Un proposito ambizioso e senz’altro urgente, che però riflette la concezione nativista e conservatrice di Giorgia Meloni. La famiglia ideale – ovviamente italiana – che emerge dagli Appunti è un sistema di welfare a costo zero per lo Stato, che serve sostanzialmente a fare figli che un domani paghino le tasse. L’unica figura che si identifica con la famiglia è la "madre", citata mille volte senza che ci sia un accenno alle politiche della paternità.

Si interviene sulla conciliazione tra vita lavorativa e familiare, ma è una conciliazione a senso unico: non è nemmeno contemplato che un padre possa chiedere lo smart working per badare ai figli, per citare una delle proposte. L’effettivo problema dell’occupazione femminile, a cui è dedicato un intero capitolo degli Appunti, si risolverebbe tutto con le politiche di conciliazione, schiacciate tutte sull’identificazione totale tra madre e famiglia. Non si parla di congedo di paternità (o anche solo di congedi familiari), né tantomeno di disparità salariale.

Il discorso portato avanti da Meloni si applica però a una ben precisa tipologia di famiglia, quella composta "da un padre e una madre" e in cui non c’è spazio per la "fluidità", che sarebbe imposta "con minaccia di sanzione penale". Un’idea di famiglia, quindi, che esclude implicitamente anche le coppie divorziate e le famiglie monoparentali, con la "natura" a cui si richiama il documento che diventa un obbligo.

Da un eventuale governo Meloni ci si può aspettare un tentativo di riforma del diritto di famiglia, in particolare per quanto riguarda il divorzio e l’affido condiviso. Il tema dei padri separati non sta così a cuore al partito come stava alla Lega, intorno alla quale si erano raccolti anche diversi movimenti di padri, ma dopo la delusione del ddl Pillon non è da escludere che si torni alla carica con una nuova legge, come fatto in Piemonte. È esplicita, invece, l’esclusione delle famiglie con figli nati da gestazione per altri – che forse Meloni dimentica essere per la stragrande maggioranza adottati da coppie eterosessuali. D’altronde solo poche settimane fa Meloni proponeva di rendere la Gpa un reato universale.

Negli Appunti non c’è alcun accenno ad alcuni dei grandi cavalli di battaglia della leader di Fratelli d’Italia, che invece erano scritti addirittura nel primo punto del programma del 2018: la difesa della famiglia naturale, la lotta all’ideologia gender e il sostegno alla vita. Meloni non dimentica mai di citare questi temi nei suoi comizi, anche quando va all’estero e, sebbene quando è interrogata sulla natura del tanto sbandierato "gender" faccia scena muta, il sodalizio tra la leader e i gruppi anti-gender italiani ed europei è cosa nota.

Nel 2019, Meloni fu tra le firmatarie del Manifesto per la Vita e la Famiglia redatto da ProVita & Famiglia con cui si impegnò a difendere la vita dal concepimento alla morte naturale.

In un possibile governo Meloni, ci si deve aspettare un intervento sul diritto di aborto, su modello di quanto sta accadendo in Piemonte per l’azione dell’assessore di FdI Maurizio Marrone: presenza dei gruppi antiabortisti negli ospedali e soldi alle donne per non abortire. È molto difficile che il governo provi a toccare la legge con l’obiettivo di eliminarla, ma in nome dell’applicazione della prima parte (dedicata alla tutela sociale della maternità) è molto più probabile un’escalation di ostacoli per le donne che vogliono interrompere la gravidanza. Si potrebbe anche tornare indietro sulla cancellazione dell’obbligo di ricovero per l’aborto farmacologico, che proprio Marrone ha provato a contrastare in Piemonte.

Anche se l’argomento dovrebbe essere tra i meno controversi in assoluto, un governo Meloni potrebbe intervenire anche sulla violenza sulle donne. Lo scenario peggiore è la fuoriuscita dalla Convenzione di Istanbul per la prevenzione e l’eliminazione della violenza di genere, come hanno già fatto la Turchia e la Polonia, mentre l’Ungheria dell’alleato meloniano Orbán ha rifiutato di ratificarla. Questi governi contestano alla Convenzione il richiamo al "genere" (gender) che secondo loro promuoverebbe una non meglio specificata "agenda LGBTQ+".

Se la fuoriuscita dalla Convenzione per l’eliminazione della violenza di genere, sulla quale si basano i piani antiviolenza italiani dal 2013, sembra qualcosa di improbabile, è bene ricordare che a settembre dello scorso anno il gruppo europarlamentare di Fratelli d’Italia contestava la proposta di inserire la violenza di genere fra gli eurocrimini sulla base di "categorie sessuali incomprensibili" che l’Europa vorrebbe calare dall’alto. Tali categorie ricalcano le definizioni già inserite nella Convenzione di Istanbul, che abbiamo già accettato quando l’abbiamo ratificata.

Il futuro che si prospetta per le donne e le minoranze con un governo di estrema destra non è dei migliori. Qualcuno ancora è convinto che sia comunque positivo il fatto che il nostro Paese potrebbe avere la prima premier donna della sua storia, ma a quale prezzo per tutte le altre? Il genere non è affatto garanzia di una gestione del potere non ostile alle donne, specie se in nome della protezione di un unico e granitico prototipo di "donna", (madre, italiana, cristiana, per aggiungere gli attributi preferiti da Meloni) si approvano politiche che penalizzano tutte le altre.

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Jennifer Guerra è nata nel 1995 in provincia di Brescia e oggi vive in provincia di Treviso. Giornalista professionista, i suoi scritti sono apparsi su L’Espresso, Sette, La Stampa e The Vision, dove ha lavorato come redattrice. Per questa testata ha curato anche il podcast a tema femminista AntiCorpi. Si interessa di tematiche di genere, femminismi e diritti LGBTQ+. Per Edizioni Tlon ha scritto Il corpo elettrico. Il desiderio nel femminismo che verrà (2020) e per Bompiani Il capitale amoroso. Manifesto per un Eros politico e rivoluzionario (2021). È una grande appassionata di Ernest Hemingway.
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