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Cosa ha detto Meloni su violenza contro le donne, immigrazione illegale, parità di genere e congedi

La presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha legato ancora una volta il problema dei femminicidi e della violenza di genere al quello dell'”immigrazione illegale di massa”: “Adesso verrò definita razzista, ma c’è una incidenza maggiore, purtroppo nei casi di violenza sessuale, da parte di persone immigrate”.
A cura di Annalisa Cangemi
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La presidente del Consiglio Giorgia Meloni, nella Giornata Nazionale contro la violenza sulle donne, insiste sul legame tra immigrazione e violenze di genere, legame già messo in evidenza dal ministro dell'Istruzione Valditara nei giorni scorsi.

"Il tema della sicurezza, soprattutto nelle nostre città, è sempre più evidente" e "noi abbiamo dato dei segnali molto importanti con le assunzioni nelle forze dell'ordine" e i reati "che servono per combattere l'insicurezza dilagante nelle nostre città", ha detto Meloni in una intervista a ‘Donna Moderna', rispondendo a una domanda della direttrice Maria Elena Viola sull'impegno profuso per garantire la sicurezza delle donne nei luoghi pubblici. E poi, ha evidenziato, c'è "il tema del contrasto all'immigrazione illegale di massa, una delle materie su cui il governo si spende di più".

"Adesso verrò definita razzista, ma c'è una incidenza maggiore, purtroppo nei casi di violenza sessuale, da parte di persone immigrate, soprattutto illegalmente, perché quando non hai niente si produce una degenerazione che può portare da ogni parte", ha aggiunto. "C'è un lavoro qui che è soprattutto securitario, la dimensione culturale c'entra di meno. Bisogna garantire la presenza delle forze dell'ordine, garantire che ci siano i reati, garantire che quando qualcuno commette un reato paghi per quel reato, che è un altro tema che abbiamo in Italia", ha proseguito. "E c'è un tema di contrasto dell'immigrazione illegale di massa", su cui il governo è impegnato, ha sottolineato Meloni.

Per Meloni le leggi contro i femminicidi ci sono, manca il dibattito

Secondo Giorgia Meloni le leggi e i fondi per contrastare il fenomeno ci sono, quello che manca è "il dibattito". Si tratta per la premier di un problema prima di tutto culturale. "Le norme non mancano, gli strumenti non mancano, dedichiamo delle risorse alla materia, forse il dibattito non è sufficiente. Su questa materia non ha senso dividersi, cercare il buono e il cattivo, dovremmo tutti sederci attorno a un tavolo e interrogarci. A me è piaciuto molto il film di Paola Cortellesi, racconta un tempo nel quale la violenza contro la donna, la sopraffazione, era quasi accettata nella società. Noi in teoria non viviamo più in un tempo del genere. Eppure il numero dei femminicidi rimane sostanzialmente immutato".

"È come se una volta la violenza sulle donne fosse legata di più a una degenerazione dell'idea di essere superiori, che gli uomini avevano e oggi invece fosse più legata a una debolezza. Cioè prima" c'era violenza "perché in qualche maniera era socialmente accettata", oggi, visto che "le donne non la accettano, allora c'è diciamo un'evoluzione della motivazione che porta" alla violenza. È un fenomeno, a detta della premier, "che noi dobbiamo studiare e penso che su questo anche quello che sta accadendo ai giovani è qualcosa su cui ci dobbiamo molto interrogare".

"Se noi non capiamo un fenomeno che rimane immutato nonostante l'evoluzione della società, e non capiamo le ragioni per cui questo sta accadendo, temo che non riusciremo a essere neanche così efficaci nella soluzione alla base della questione, che non sarà mai nelle leggi e nelle risorse, sarà sempre solo e se riusciamo a lavorare sulla dimensione culturale di questo fenomeno e penso che sia davvero una di quelle questioni sulle quali chiunque abbia qualcosa da dire deve poterlo dire, perché se noi ci chiudiamo dietro gli stereotipi, le divisioni, temo che non faremo mai il lavoro di approfondimento necessario ad affrontarlo in modo serio".

Cosa sta facendo il governo per l'occupazione femminile e la parità salariale

"La chiave della parità è nella possibilità delle donne di scegliere e realizzarsi" nel lavoro. "Abbiamo lavorato sugli incentivi all'assunzione femminile", ha ricordato Meloni.

"Io penso che ci sia anche un lavoro da fare che riguarda le donne che scelgono di non lavorare. Faccio un esempio, che può essere considerato una stupidaggine, ma è un passaggio culturale non irrilevante. Noi adesso abbiamo da fare tutta la revisione delle tax expenditure, e tra queste c'è anche la detrazione per il coniuge a carico: io penso che le risorse della detrazione del coniuge carico, quando c'è un coniuge a carico, non debbano andare al coniuge che lavora ma al coniuge a carico. Una cosa banale, che non cambia la vita di nessuno, però è un messaggio, un principio: non dipendere", ha detto ancora la premier rispondendo alla direttrice Maria Elena Viola.

"Io non ho mai pensato che la soluzioni siano le quote", la soluzione è poter "competere ad armi pari". Meloni ha ammesso di essere una lavoratrice "privilegiata", che non è costretta a scegliere tra carriera e la maternità: "È vera libertà se io non sono costretta a scegliere, tanti non hanno questo privilegio. Abbiamo lavorato sugli asili nido, sull'aumento dell'assegno unico, sulla decontribuzione delle mamme lavoratrice, sul congedo parentale retribuito all'80% che noi abbiamo aumentato".

Meloni contraria al congedo di paternità obbligatorio

Eppure una donna su 5 lascia il lavoro all'arrivo del primo figlio. Meloni non è d'accordo con il congedo di paternità obbligatorio: "La libera scelta è la soluzione, il congedo parentale infatti vale sia per la madre che per il padre.

La premier Giorgia Meloni si è detta "d'accordo" sul fatto che in Italia gli uomini si vergognano a prendere il congedo, "ed è qualcosa su cui bisogna lavorare".

"Però – ha detto – non so quanto lo possiamo risolvere con un obbligo. Il congedo parentale, come lo abbiamo ampliato noi, si utilizza fino al sesto anno di vita del bambino e consente alla famiglia di organizzarsi perché non si smette di essere genitori dopo i primi mesi di vita del figlio. È un congedo che si prende a condizione necessaria. Se noi lo mettessimo obbligatorio, potremmo aumentarlo di quanto? Dieci giorni? Un mese? Non avrebbe lo stesso impatto. Culturalmente sì. Però secondo me ha più senso se noi su questo lavoriamo sul piano culturale, perché ci dà una risposta che può essere ugualmente utile, senza però comprimere quello che stiamo dando alle famiglie, perché tre mesi sono tre mesi. Sicuramente sul tema culturale questa è una battaglia che mi interessa".

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