L’informativa urgente del Governo sui recenti sviluppi della situazione in Libia in teoria sarebbe dovuto essere “il fatto” politico della settimana, anche considerando il rilievo che la questione sta avendo presso l’opinione pubblica. Invece, ad ascoltare il ministro degli Esteri Gentiloni alla Camera dei deputati c’erano pochi intimi, secondo quella che sta diventando una triste prassi. In ogni caso l’intervento di Gentiloni ha contribuito a fare chiarezza dopo la confusione degli ultimi giorni, alimentata anche da qualche frettolosa dichiarazione di membri dell’esecutivo (lo stesso esponente del PD ed il ministro della Difesa Pinotti).
Gentiloni ha aperto il suo intervento con alcune considerazioni sugli errori commessi nella fase successiva alla caduta del regime di Gheddafi, ricordando i limiti prospettici dell’intervento militare del 2011. Ora però “la situazione si sta aggravando”, dal momento che c’è un “evidente rischio di saldatura tra gruppi locali e le milizie di Daesh (quelle che fanno direttamente riferimento all’Isis, ndr)”; dunque, l’idea è quella di proseguire sulla strada dei negoziati, ma nella considerazione che “il tempo a disposizione non è infinito e rischia di scadere presto, pregiudicando i risultati raggiunti”. Insomma, se c’è una evidente frenata rispetto a qualche giorno fa (frutto anche delle posizioni espresse dagli altri attori della scena politica internazionale), allo stesso modo il Governo non è intenzionato “a voltarsi dall’altra parte”. Insomma, “l’unica soluzione alla crisi è politica, non servono crociate né avventure”, anche se l'Italia resterà in prima fila nella lotta al terrorismo.
La fotografia della situazione in Libia è impietosa:
Nella sua difficile transizione verso la democrazia, la Libia è rimasta esposta alle divisioni tra fazioni, favorite dall'ingente presenza di armamenti, dalla fragilità delle nuove istituzioni e dalla stessa enorme ricchezza del Paese, oggetto del contendere tra gruppi di interesse contrapposti. Tutto questo ha soffocato sul nascere il tentativo di un rilancio della transizione libica, avvenuto con le elezioni per la Camera dei rappresentanti del giugno scorso. E, nonostante il fatto che le elezioni abbiano prodotto un Parlamento e un Governo riconosciuti dalla comunità internazionale, esse non hanno segnato una svolta decisiva del processo politico. Oggi, dunque, ci troviamo con un Paese con un vastissimo territorio, con istituzioni praticamente fallite e potenziali gravi ripercussioni non solo su di noi, ma sulla stabilità e la sostenibilità dei processi di transizione nei Paesi africani nelle sue immediate vicinanze.
Nella lettura di Gentiloni, infatti, i problemi libici potrebbero estendersi al nostro Paese, considerando “il grave deterioramento del quadro di sicurezza, che ci ha portato a chiudere il 15 febbraio la nostra ambasciata, l'ultima occidentale rimasta”. Del resto, un primo segnale è dato dall’aumento degli sbarchi, quasi raddoppiati rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso; in tal senso Gentiloni non ha risparmiato critiche all’opposizione: “Non era Mare Nostrum ad attirare i migranti ma il dramma su cui speculano bande di criminali. Non possiamo voltarci dall'altra parte lasciandoli al loro destino, non sarebbe degno dell'umanità e della civiltà che hanno fatto grande l'Italia”. Sull'immigrazione però il ministro degli Esteri chiede che l'Europa faccia di più ("una superpotenza economica può andare oltre i 50 milioni l'anno che oggi vengono spesi per fronteggiare questa emergenza) e la soluzione potrebbe essere il rafforzamento di Triton che va "adeguata alla realtà di un fenomeno su scala enorme".
In un'Aula incredibilmente vuota (e con i soli Gentiloni e Scalfarotto sui banchi del Governo) si è poi svolto il successivo dibattito parlamentare:
A far discutere (con molte critiche da parte dei deputati della maggioranza che interverranno successivamente) è soprattutto l'intervento di Alessandro Di Battista, del Movimento 5 Stelle:
Sulla stessa linea di Gentiloni si muove invece Enzo Amendola, del Partito Democratico: