Cosa ha detto Alfano sul terrorismo islamico in Italia
Dopo i fatti di Parigi, con l’attentato alla sede del giornale Charlie Hebdo e la lunga caccia all’uomo che sta tenendo impegnati migliaia di uomini delle forze speciali francesi, il ministro dell’Interno Angelino Alfano ha scelto di riferire alle Camere sui “possibili rischi connessi al terrorismo internazionale” per quel che concerne il nostro Paese. All’intervento hanno assistito meno della metà dei deputati, circostanza che in qualche modo stride con il riflesso che i fatti di Parigi hanno avuto sull’opinione pubblica e con il rilievo che lo stesso ministro ha dato alla vicenda.
Ecco cosa ha detto Alfano, in sintesi:
Nel commentare la vicenda dell'uccisione dei giornalisti satirici francesi e di due agenti di polizia, ho detto che un dato che sicuramente colpisce è legato alle modalità esecutive dell'azione. Finora la maggior parte degli attentati terroristici commessi da elementi delle componenti jihadiste era caratterizzata dal fatto che l'autore o gli autori mettevano in conto e accettavano l'idea che l'azione si sarebbe certamente conclusa con la loro morte, escludendo che il piano dell'attentato contemplasse possibili vie di fuga per loro stessi. Le modalità esecutive dell'attentato parigino, invece, sembrano indicare una modalità diversa, logica di azione, che non esige il martirio, né lo contempla come esito scontato e ineludibile dell'attacco terroristico. Un altro elemento di assoluta importanza risiede poi nella riconducibilità dell'attentato parigino, stando alle fonti informative disponibili e alle dichiarazioni degli stessi superstiti della strage, alla componente qaedista dell'estremismo islamico.
[…] L'eccidio di Parigi, comunque, conferma l'estrema pericolosità del fenomeno del reducismo e dei «foreign fighters» […] In effetti, la spietata freddezza del commando entrato in azione a Parigi lascia ipotizzare che essa sia frutto di un addestramento militare acquisito nei luoghi di conflitto e della conseguente dimestichezza con l'uso delle armi da guerra: una combinazione micidiale di elementi, pronta a lasciare la sua traccia mortale nei Paesi in cui i combattenti stranieri fanno ritorno, come sembra avvenuto, appunto, anche nel caso dei tre responsabili del massacro parigino.
Per completezza informativa, voglio aggiungere che uno dei tre, il trentaduenne franco-algerino, Cherif Kouachi, era noto anche alle forze di polizia italiane, in quanto implicato nelle filiere di estremisti islamici diretti in Iraq e più volte sottoposto da parte delle autorità francesi a misure restrittive. Preciso, tuttavia, che il Kouachi non è stato mai presente nel territorio nazionale. L'Italia è pur essa toccata dal fenomeno dei «foreign fighters», sebbene in misura sensibilmente minore rispetto ad altri Paesi occidentali. Mentre, infatti, sono circa 3 mila i combattenti stranieri censiti in Europa, il nostro Paese interessato da numeri molto più esigui: risultano, infatti, cinquantatre le persone finora coinvolte nei trasferimenti verso i luoghi di conflitto, che hanno avuto a che fare con l'Italia nella fase della partenza o anche solo in quella di transito; quattro di esse hanno nazionalità italiana, due delle quali già segnalate nella precedente informativa, come il genovese Delnevo, morto in combattimento ad Aleppo, e un giovane marocchino naturalizzato, che si trova attualmente in un altro Paese europeo. La quasi totalità di queste persone è ancora attiva nei territori di guerra, mentre la restante parte, decisamente minoritaria, è deceduta in combattimento o è detenuta in altri Paesi.
[…] Non abbiamo in questo preciso momento – voglio subito ribadirlo – segnali che indichino l'Italia o gli interessi italiani come esposti a specifiche ed attuali forme di rischio […] Tornando ai fatti di Parigi, alcune dichiarazioni hanno ritenuto di evidenziare, tra le possibile fonti di rischio, i centri di aggregazione religiosa in cui potrebbero operare i predicatori di odio, fomentando azioni violente. Voglio rassicurare sul fatto che sia le moschee sia gli altri luoghi di culto non vengono affatto trascurati nelle analisi di intelligence investigativa e siamo oggi in grado di poterne avere una fedele fotografia, avendone recentemente anche curato una puntuale rilevazione i cui dati numerici ho fornito nella precedente informativa di settembre.
[…] Più in generale, la sfida rappresentata dall'estremismo islamico presuppone la piena valorizzazione della capacità progettuale dell'Unione europea e della sua forza trainante anche nei rapporti di partenariato che sviluppa con i Paesi terzi. In questa prospettiva di rilancio dell'azione politica del soggetto Europa, recuperare e rinnovare lo spirito di unità è un'esigenza fondamentale e imprescindibile