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Cosa farà il governo Meloni per risolvere il caos sul Redditometro

A inizio maggio, il governo Meloni aveva rilanciato il redditometro – uno strumento con cui l’Agenzia delle Entrate può ipotizzare il reddito di una persona in base a quanto e come spende. Subito, però, i partiti della stessa maggioranza si sono opposti, e l’esecutivo ha fatto marcia indietro. Nel prossimo Cdm dovrebbe arrivare la soluzione.
A cura di Luca Pons
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Poco più di un mese da quando è stato varato, e il nuovo redditometro sta già per essere archiviato. A inizio maggio, il ministero dell'Economia del governo Meloni aveva approvato un decreto che fissava i paletti per far ripartire l'uso del redditometro. Si tratta di uno strumento che consente all'Agenzia delle Entrate di analizzare i consumi di un contribuente, dedurre il suo reddito probabile, e osservare se questo è molto diverso da quello effettivamente dichiarato. Sulla base di questo, poi, potrebbero partire delle verifiche ulteriori. Ma nel prossimo Consiglio dei ministri, in programma giovedì, dovrebbe arrivare una norma per bloccarlo.

Il problema è che il redditometro un sistema a cui il centrodestra si è sempre opposto. Così, quando poche settimane fa si era diffusa la notizia della pubblicazione di questo decreto in Gazzetta ufficiale, Lega e Forza Italia avevano sollevato un polverone. La presidente del Consiglio Giorgia Meloni, per evitare che la novità avesse un effetto negativo sul piano elettorale, si era velocemente schierata contro il provvedimento adottato dal suo stesso governo.

In una diretta Instagram poche ore dopo la nascita del caso, la premier aveva annunciato che avrebbe "sospeso" il decreto. Una dichiarazione che però, sul piano giuridico, aveva ben poco senso. Si tratta, infatti, di un decreto già pubblicato in Gazzetta ufficiale e quindi pienamente operativo, a prescindere da quanto la leader del governo dichiara. Anche Matteo Salvini aveva detto che la maggioranza avrebbe "riscritto" il decreto insieme. Anche in questo caso, senza specificare come e quando.

Ora, la quadra sembra essere arrivata. Nel prossimo Consiglio dei ministri, in programma giovedì 20 giugno alle ore 17, è atteso uno schema di decreto legislativo che correggerà le norme sul concordato preventivo. La procedura prevede che il nuovo decreto, come sempre, dovrà passare dalle commissioni parlamentari per raccogliere i loro pareri, e infine tornare al governo per il via libera definitivo. Proprio durante il passaggio in commissione, la maggioranza potrà chiedere – come condizione vincolante – che nel decreto ci sia anche la cancellazione del redditometro. Così, la questione si chiuderà quando il testo tornerà in mano al Consiglio dei ministri e arriverà l'approvazione finale.

È stata soprattutto Forza Italia a intestarsi la battaglia contro questo provvedimento. D'altra parte, il ministro dell'Economia è il leghista Giorgetti e il suo vice, ‘padre' del decreto, il meloniano Maurizio Leo, e da sempre il tema del fisco è particolarmente sensibile per i berlusconiani. A fine maggio, FI aveva presentato un emendamento al decreto Coesione, attualmente in commissione al Senato, per abolire lo strumento. Già questa mattina, il sottosegretario all'Economia Freni aveva fatto capire che una soluzione era vicina, dichiarando che le "istanze di Forza Italia" erano "ampiamente condivise", e sarebbero state "valorizzate dal governo in un prossimo provvedimento normativo".

Soddisfazione, naturalmente, da FI. Il capogruppo al Senato Maurizio Gasparri ha affermato: "Arriva al successo la nostra battaglia per l'abolizione totale e definitiva del redditometro". C'è stato anche "un confronto con i massimi livelli del governo, che hanno confermato la condivisione della proposta di Forza Italia e la necessità di inserire in provvedimenti imminenti la soluzione da noi auspicata". Per quanto riguarda gli aspetti tecnici, cioè come concretamente questa abolizione sarà trasformata in una norma, "siamo flessibili", ma già da ora si può dire che "la battaglia di Forza Italia per l'abolizione del redditometro sarà certamente vinta nel Parlamento".

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