Cosa è successo con la traduzione dell’Ambasciata israeliana e perché c’è stato uno scontro con il Vaticano
Colpa di una nota tradotta male. Le tensioni dei giorni scorsi tra il Vaticano e l'Ambasciata d'Israele presso la Santa Sede sono sfociate in una parziale marcia indietro da parte di quest'ultima. Pur senza snaturare o ammorbidire il suo pensiero sulla strenua difesa dell'operato di Israele nel conflitto contro Hamas, e sul suo diritto a difendersi, la rappresentanza diplomatica ha corretto il tiro, modificando le durissime parole di condanna rivolte al Segretario di Stato Vaticano, il cardinale Parolin.
Secondo quando ha fatto sapere l'Ambasciata ci sarebbe stato infatti un errore di traduzione: le frasi di Parolin sulla "carneficina" a Gaza non sono state considerate "deplorevoli" ma "sfortunate".
"Purtroppo il mio italiano è tra lo scarso e l'inesistente, la nostra routine di lavoro è in inglese. La parola che abbiamo usato nel comunicato originale era ‘regrettable', e mi attengo a essa. Per quanto riguarda la traduzione più accurata in italiano, lascio la parola a chi è bilingue". Raphael Schutz, ambasciatore di Israele presso la Santa Sede, ha spiegato così al Corriere della Sera il malinteso con il Vaticano.
Mercoledì infatti una nota dell'Ambasciata aveva reagito dopo le frasi del Segretario di Stato Vaticano, secondo cui i 30mila palestinesi uccisi Gaza indicano che la risposta di Israele al massacro del 7 ottobre è sproporzionata. Il cardinale aveva anche detto che da sempre la posizione della Santa Sede sulla guerra in Medioriente è di "condanna netta e senza riserve di quanto avvenuto il 7 ottobre" ma anche "una richiesta, che il diritto alla difesa di Israele debba essere proporzionato", aggiungendo che "certamente con 30mila morti non lo è".
Ieri era arrivata la precisazione: l'aggettivo ‘regrettable' "poteva essere tradotto in modo più preciso con ‘sfortunata'". Nel linguaggio diplomatico non è una sfumatura di poco conto. "È importante che le relazioni in generale, comprese quelle diplomatiche, si basino sempre sulla franchezza e sulla trasparenza – ha detto Schutz – Finché esisteranno questi elementi, sarà più facile contenere le differenze di opinione e di prospettiva, come quelle attuali. Non ho il minimo dubbio sulle buone intenzioni del Vaticano. Condivido anche l'invito di Parolin a non perdere la speranza. Nella storia ebraica e israeliana ci sono stati molti momenti di difficoltà, ma la speranza è sempre stata ed è tuttora presente. Tuttavia, non mi sento qualificato per determinare quale sarebbe in questo momento il modo più efficace per la Santa Sede di incanalare la sua autorità morale unica".
"Hamas liberi i prigionieri senza condizione e subito, e Israele interrompa i bombardamenti senza condizione, subito. La pace è nel riconoscere a Israele il diritto di esistere in pace, così per la Palestina a esistere egualmente nel pieno rispetto del suo territorio. Bisogna uscire dalla logica vendicativa", ha detto oggi in un'intervista a La Stampa, è il cardinale Fernando Filoni, gran maestro dell'Ordine equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme, rientrato da un viaggio in Terra Santa.
"Le ‘scintille' di questi giorni" tra l'Ambasciata di Israele in Vaticano e la Santa Sede, "suscitano una riflessione. C'è una guerra terribile nella Striscia di Gaza con ripercussioni gravi in Israele e in Palestina; c'è un sequestro inaccettabile di persone a seguito dell'assurda strage di civili, quella del 7 ottobre – ha aggiunto il cardinale -. Su questi eventi si sono inalberate politiche, di Israele e di Hamas, che finora non hanno trovato una soluzione a vantaggio di una popolazione inerme e che subisce conseguenze inimmaginabili, che la storia giudicherà senza perdoni. È ciò che ha chiesto il cardinale Parolin, ossia di avere uno ‘sguardo realista sul dramma in corso', stando dalla parte delle vittime, come insegnava don Milani, un ebreo-prete".
Secondo il cardinale, alla soluzione dei due Stati "non c'è alternativa" ma "i due Stati non si possono imporre dall'esterno, devono essere voluti dalle parti. L'auspicata riconciliazione si deve basare su due principi imprescindibili: il diritto di Israele a esistere in pace, e il diritto dei palestinesi alla loro terra e a vivere in pace nella loro terra".