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Cerimonia di insediamento di Donald Trump

Cosa è andata a fare Giorgia Meloni al giuramento di Trump

Giorgia Meloni era l’unica leader europea presente alla cerimonia per l’insediamento di Donald Trump da presidente degli Stati Uniti. Un invito che dimostra il buon rapporto tra i due. Ora la premier non deve sprecarlo: Alessandro Alfieri (Pd) ha detto a Fanpage.it che Meloni dovrà scegliere se difendere gli interessi europei (e quindi italiani) o fare il “vassallo” di Trump in Ue.
A cura di Luca Pons
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La cerimonia di insediamento di Donald Trump, culminata con il suo giuramento da presidente degli Stati Uniti e il suo primo, aggressivo discorso, è stato un evento con centinaia di invitati. Come è prassi negli Usa, non c'erano tutti i più importanti capi di Stato e di governo: normalmente gli inviti sono soppesati con attenzione, e nella maggior parte dei casi per rappresentare uno Stato partecipa il suo ambasciatore. Per l'Italia, invece, c'era Giorgia Meloni.

La premier è stata uno dei pochi leader presenti (insieme a lei l'argentino Javier Milei, mentre il presidente cinese Xi Jinping ha mandato il suo vice Han Zheng), e l'unica europea. A rappresentare l'Ue c'erano moltissimi esponenti dei partiti di estrema destra, ma solo una capo di governo.

Fanpage.it ha contattato Alessandro Alfieri, capogruppo del Pd in commissione Esteri al Senato, secondo cui "Giorgia Meloni è stata invitata in quanto Trump oggettivamente le attribuisce un legame speciale". Il punto, quindi, è come la presidente del Consiglio userà questa opportunità: se avrà il "coraggio" di fare gli interessi (anche) dell'Italia difendendo l'Europa, o se preferirà "l'ambiguità", con un ruolo da "junior partner, o peggio vassallo, di Trump in Ue".

Perché il legame tra Meloni e Trump può essere utile

Alfieri ha detto Trump ha "riassunto molto bene" la sua visione di Meloni quando "l'ha definita ‘assaltatrice dell'Europa' (in inglese ‘taking Europe by storm', ndr), perché nella sua testa può essere l'elemento che fa saltare l'Unione Europea". D'altra parte, ha aggiunto il senatore dem, "Trump non ha mai capito cosa sia l'Ue, la sua politica internazionale si è mossa sempre sulla base di rapporti bilaterali".

Ora, anche grazie a questa vicinanza personale, "c'è una finestra di opportunità" secondo Alfieri. Da una parte c'è "la vicinanza politico-culturale con Trump e il rapporto che si è creato con Elon Musk". Dall'altra, gli altri grandi Paesi europei sono in difficoltà: "In Francia c'è una mancanza di affinità tra i leader, ricordiamo che Macron nel 2019 arrivò a parlare di "morte cerebrale della Nato" durante il primo mandato di Trump. Invece la Germania è in piena campagna elettorale".

Il punto è: "Questa finestra Meloni la userà per diventare junior partner – o peggio vassallo – di Trump in Ue, oppure per rappresentare l'Europa?". Questa è la questione su cui andrà giudicato il legame che la premier vanta con il nuovo presidente degli Stati Uniti.

La scelta della premier: difendere l'Europa o diventare "vassallo di Trump"

"Se giochi a fare gli interessi solo del tuo Paese rischi di mancare il bersaglio grosso", ha insistito Alfieri, facendo due esempi: i dazi e la spesa militare. "Pensando solo in ottica nazionale, Meloni potrebbe pensare di accontentarsi se riesce a ottenere uno sconto sugli eventuali dazi per il vino e il parmigiano".

Se però poi "gli Usa mettessero dei dazi sul manifatturiero tedesco sull'automotive, anche noi ne pagheremmo il prezzo". Infatti, "tutto il Nord Italia è pieno di piccole e medie imprese che sono terziste del manifatturiero tedesco, e sono integrate in quel modello".

Parlando della spesa militare, l'Italia potrebbe "accettare di comprare più metano dagli Stati Uniti perché non spendiamo abbastanza soldi in difesa". Oppure potrebbe "investire nell'autonomia strategica del nostro Paese, investire in Iris2 piuttosto che in Starlink, investire nel progetto politico della difesa europea con i Paesi che ci stanno".

Se Meloni decidesse di usare il suo "legame" con Trump per tutelare l'Europa, e quindi anche l'Italia, "rischierebbe di perdere il rapporto personale privilegiato, ma si consoliderebbe dal punto di vista politico, terrebbe la schiena dritta". In caso contrario, dovrà "accontentarsi di essere la ‘preferita' e tenersi un ruolo marginale. Se sarà così, ne pagheremo tutti il prezzo".

Si può immaginare un futuro in cui la premier sfrutta il suo rapporto con Trump, tutela l'Ue, e in cambio grazie al suo ruolo di peso ottiene un ulteriore slittamento a destra dell'Unione europea? Secondo Alfieri no, sopratutto perché "Meloni non ha nelle corde un lavoro di questo genere. Preferisce andare avanti con ambiguità, mentre invece bisognerebbe avere coraggio. Oggi difendere gli interessi del nostro Paese vuol dire investire nell'Europa. La sovranità europea – difficile per chi era sovranista nazionalista – è l'unico modo per essere grandi leader e fare gli interessi del proprio Paese".

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