Cosa dice la Nadef sulla manovra del governo Meloni e sul futuro dell’Italia: lo spiega l’economista Degni
Il governo Meloni ha approvato la Nadef, cioè la Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza. È un testo di quasi 140 pagine che fa un quadro della situazione economica italiana e definisce le intenzioni del governo per i prossimi anni. Ci sono moltissimi temi all'interno, dalla sanità alle pensioni, dal lavoro al prezzo della benzina. Marcello Degni, economista con una lunga esperienza in fatto di conti pubblici, ha risposto alle domande di Fanpage.it per mettere a fuoco gli aspetti più importanti.
Degni è stato per anni consigliere parlamentare in Senato in ambito economico, ha collaborato con la Commissione tecnica della spesa pubblica al ministero dell'Economia e con l'Unità di valutazione finanziaria del Quirinale. Ha insegnato in varie università e alla Scuola nazionale dell'amministrazione, e oggi è consigliere della Corte dei conti in Lombardia. Secondo lui, "la cosa più importante che emerge da questa Nadef è il debito. Qui c'è forse la mossa più azzardata di tutto il testo".
Qual è questa mossa, professore?
Il debito pubblico italiano scende solo dello 0,1% tra il 2023 e il 2024, e poi fino al 2026 scende solo di 0,6 punti. Nel Def dello scorso aprile, per dire, la previsione era che sarebbe sceso di un paio di punti. E già non era moltissimo.
Lo 0,6% è troppo poco?
Sì, perché i prossimi tre-quattro anni sono quelli in cui si dovrebbe puntare di più sulla riduzione del rapporto debito pubblico/Pil. Se non ci riusciamo, i problemi potranno solo aumentare. Il motivo ha a che fare con i tassi d'interesse che sono diventati molto più alti.
Proviamo a spiegarlo in modo semplice.
Quando aumentano i tassi di interesse – come è avvenuto in questi mesi – non salgono solo le rate dei mutui, ma anche gli interessi che lo Stato italiano deve pagare a chi gli presta i soldi. Però l'Italia ogni anno prende in prestito solo una parte del suo debito pubblico, circa un settimo del totale. Questo è un fatto molto positivo, vuol dire che l'effetto negativo dei tassi d'interesse pesa solo su un settimo del nostro debito, cioè quello emesso quest'anno.
Perciò l'aumento dei tassi d'interesse per adesso non crea problemi, almeno per quanto riguarda la gran parte del debito pubblico italiano?
Esatto. Però nei prossimi anni i tassi d'interesse resteranno alti, quindi più passa il tempo, più il loro effetto sarà pesante. Come una palla di neve che rotola e diventa sempre più grande.
Così l'Italia ogni anno dovrà pagare sempre di più per restituire i soldi agli investitori.
Sì. E se noi non riusciamo, nei prossimi tre-quattro anni, a ridurre il debito pubblico, come faremo quando i tassi d'interesse peseranno molto più di adesso? Questo si chiedono i mercati. Il debito pubblico è la cosa che guardano di più.
Per questo aumenta lo spread?
Sì, perché c'è incertezza. Lo spread in fondo è il premio che che chi compra il debito (gli investitori) richiede per finanziare il Paese: se c'è una maggiore incertezza, chiede un premio maggiore.
Nella Nadef ci sono anche le previsioni su quanto crescerà il Pil. Sono numeri buoni?
Anche troppo: mi sembra uno scenario eccessivamente ottimistico. La Nadef prevede un aumento del Pil dell'1,2% nel 2024, dell'1,4% nel 2025 e dell'1% nel 2026. I dati del 2024 e del 2025 sembrano particolarmente azzardati. Tra l'altro in quei tre anni si prospetta un aumento di un punto intero di Pil derivante solo dalle privatizzazioni: un punto di Pil sono venti miliardi di euro. Sono tanti. È abbastanza improbabile che avvenga.
Qual è il problema a fare previsioni troppo ottimistiche?
Sull'aumento del Pil previsto si costruiscono tutte le mosse di finanza pubblica. Se poi in realtà quello scenario va peggio del previsto, anche di poco, può creare seri problemi alla manovra, che rischia di diventare insostenibile.
Arriviamo allora alla manovra, la seconda del governo Meloni. Per quel che si sa finora, cosa ne pensa?
Innanzitutto, vorrei sottolineare un problema di metodo. Questa manovra di bilancio per il 2024 si comincia a delineare adesso, con l'approvazione della Nadef. Questo è comune anche ai governi precedenti, ma tradisce una difficoltà strutturale che in Italia c'è da quasi vent'anni. Una manovra ben ponderata dovrebbe essere già chiara nel Def di aprile. A fine settembre se ne dovrebbero conoscere già con precisione i contorni. Così invece è impossibile avere una discussione nel merito in Parlamento.
E per quanto riguarda i numeri?
La manovra, almeno stando alle informazioni che sono state diffuse finora, sembra un po' un vaso di coccio con grosse incrinature. E speriamo non si rompa, perché chiaramente se si rompe sono danni per tutti. Le previsioni che circolano ora stimano che circa altri 7-8 miliardi di euro potrebbero essere compensati con riduzioni di spesa e aumenti di entrate. Ma per adesso non vedo delle ipotesi del tutto convincenti su questo aspetto. La famosa spending review, cioè il taglio delle spese dei ministeri, è un lavoro da orologiaio, non da tagliaboschi: arrivare a due miliardi di euro in un anno come detto dal ministro Giorgetti mi sembra impossibile. E per quanto riguarda le entrate, gli introiti da extraprofitti delle banche saranno in ogni caso una tantum, non possono servire per spese permanenti. E lo stesso varrebbe per i famosi mini-condoni di cui si è parlato: a parte la valutazione di merito sull'opportunità, sono comunque entrate che poi si esauriscono in fretta.
Si è molto discusso del deficit, cioè del fatto che il governo Meloni si indebiterà per 15,7 miliardi di euro l'anno prossimo per finanziare la sua manovra. Cosa significa, ed è una cifra esagerata?
Chiariamo i termini. Il deficit, o disavanzo, è la quantità di perdite che superano le entrate in un certo anno, insomma quanto il bilancio dell'Italia va in negativo in un anno. Per il 2024 il deficit tendenziale, cioè quello che ci sarebbe se il governo lasciasse tutto com'è ora senza interventi, è pari al 3,6% del Pil. Invece il deficit programmatico, ovvero quello che il governo intende raggiungere, è fissato al 4,3% del Pil, che è molto più alto di quanto ci si aspettasse. Significa, come detto, che ci saranno oltre 15 miliardi di euro di debito in più. Questo solleva almeno due problemi, e il primo riguarda l'Europa.
Cioè?
La previsione è che nel 2025 il deficit programmatico scenderà al 3,6%, e soltanto nel 2026 arriverà al 2,9%. Bisogna ricordare che tutti i Paesi europei sarebbero tenuti a rispettare il limite del 3%, sono le regole del Patto di stabilità. E secondo la Nadef , l'Italia riuscirà a raggiungere questo limite – per un pelo – solo nel 2026. Se poi qualcosa va storto, ad esempio il Pil cresce meno del previsto, si finisce ancora più in là negli anni. L'Italia come fa a presentarsi in Europa con una Nadef che dice che per almeno tre anni non riuscirà a rispettare le regole?
Qual è il secondo problema?
Complessivamente il disavanzo è di 23,5 miliardi per i prossimi tre anni: sono 3,2 miliardi nel 2023, 15,7 nel 2024 e 4,6 nel 2025. Questo non ha giustificazione dal punto di vista economico. Siamo in una fase in cui non c'è una recessione, quindi sarebbe uno di quei momenti in cui dovresti ‘mettere qualcosa in cascina'. Invece una politica espansiva ha poco senso.
La Nadef conferma che ci sono pochi soldi a disposizione per il governo Meloni?
Sì, ci dice che le risorse sono limitate. È chiaro che tutti i governi all'inizio di una legislatura hanno dei programmi da attuare, e queste riforme soprattutto nel primo periodo hanno un costo. Purtroppo adesso i margini sono troppo stretti: c'è stata l'inflazione, la Banca centrale europea ha dovuto intervenire…quindi il governo si è trovato davanti a queste difficoltà. Ma la risposta avrebbe potuto essere di concentrare le risorse sulla crescita, sugli investimenti, sfruttando l'occasione del Pnrr. Dovresti evitare provvedimenti una tantum, bonus, concessioni di breve periodo, su cui invece tutti i governi finiscono per puntare.
Ha detto che il governo "avrebbe potuto" sfruttare l'occasione Pnrr. Non lo sta facendo?
Il deficit di cui abbiamo parlato, di per sé, non è necessariamente un problema. Potevi dire "punto tutto sul Pnrr, questo creerà un incremento del Pil nei prossimi anni, e questa sarà la chiave per ridurre il rapporto debito pubblico/Pil dell'Italia". La questione sarebbe stata diversa. Invece negli ultimi mesi sembra che il Pnrr sia diventato quasi un peso. Come è possibile che l'Italia, che ha una bassa produttività da decenni, non colga con entusiasmo questa possibilità unica? Tant'è che nella Nadef la stima dell'effetto del Pnrr sul Pil è stato molto ridimensionato.