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Elezioni politiche 2022

Cosa ci dicono i sondaggi politici e perché sta fallendo la strategia di Letta e del Pd

La campagna elettorale del centrosinistra non ha cambiato l’inerzia delle politiche del 25 settembre: lo confermano i sondaggi e le reazioni dell’opinione pubblica. Proviamo a capire cosa non sta funzionando.
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Alla lettura degli ultimi sondaggi politici sulle intenzioni di voto degli italiani, gli elettori Partito democratico e del centrosinistra saranno stati presi dallo sconforto. Non che qualcuno si aspettasse clamorosi sorpassi o la riapertura della partita elettorale, certo. Ma in pochi avrebbero immaginato il consolidamento di un trend negativo che vede la costante erosione dei consensi del centrosinistra e la tenuta, per non dire crescita, tanto del Movimento 5 stelle di Conte quanto del Terzo Polo di Calenda e Renzi. Tendenze che rendono sempre più probabile una vittoria a valanga della coalizione di centrodestra, con l’incubo della maggioranza dei due terzi alla Camera e al Senato che pare destinato a diventare realtà.

È evidente che qualcosa non stia funzionando, insomma, e in queste ore Letta, Fratoianni, Di Maio e gli altri leader della coalizione farebbero meglio a capire come invertire la rotta, ove mai fosse ancora possibile. La strategia iniziale, del resto, era piuttosto semplice. Archiviata (colpevolmente) l’ipotesi del campo largo, bocciata (ancora più colpevolmente) l’idea del fronte repubblicano contro la destra, fallito (tragicomicamente) il tentativo di costruire un polo draghiano con una gamba a sinistra, Letta ha fatto il possibile per mettere insieme una coalizione che fosse almeno coerente sul piano ideologico-programmatico e unita negli obiettivi di fondo. Era la precondizione per poter impostare una campagna sul dualismo con la coalizione di destra-centro, polarizzare lo scontro tra lui e Meloni, per poter fare appello al “voto utile”. Essenzialmente, nella sua visione, i cittadini avrebbero dovuto capire che, anche a causa dei meccanismi della legge elettorale, ogni voto non dato al centrosinistra avrebbe finito con il rafforzare Meloni, Salvini e Berlusconi; inoltre, dipingendo a tinte nere la coalizione di centrodestra, il segretario democratico contava di poter mobilitare gli indecisi e le persone orientate ad astenersi.

Tutta la comunicazione di Letta ruota intorno a questi due topic ed è costruita (bene, a mio modesto parere) sacrificando anche la parte programmatico-progettuale. Rosso contro nero, responsabilità contro populismo, progressisti contro conservatori. Non sta funzionando e, anche se i prossimi giorni saranno decisivi, non sembra poter funzionare. Perché manca qualcosa, forse più di qualcosa.

In primo luogo, non sembrano esserci le condizioni di base per lanciare “l’allarme democratico”. O meglio, non ci sono le condizioni perché tale allarme sia percepito come credibile da parte dei cittadini: Meloni e Salvini sono da anni sulla scena politica e hanno solide relazioni anche a livello europeo, il Partito democratico li ha sempre considerati interlocutori legittimi e autorevoli, spesso inseguendoli sul piano della proposta politica. Letta governa attualmente con tre quarti della coalizione di centrodestra; Di Maio con Salvini ha fatto nascere il governo Conte e ne ha difeso anche le scelte più controverse; autorevoli esponenti del centrosinistra hanno minimizzato l’allarme fascismo/estrema destra anche di fronte a episodi eclatanti; c’è una casistica sterminata di equiparazioni destra/sinistra, di sdoganamento e legittimazione istituzionale della destra più becera. Insomma, giocare la carta del pericolo fascista un mese prima delle elezioni può apparire una speculazione, per essere buoni.

Meloni è poi stata particolarmente brava nell'impostare una campagna elettorale soft, scegliendo di rassicurare gli altri invece di motivare i suoi. Non ce n'era bisogno, in effetti. La leader di Fratelli d'Italia si è affannata a spiegare che sugli snodi cruciali (collocazione euro-atlantica, gestione della campagna vaccinale, tenuta dei conti pubblici, Pnrr e guerra in Ucraina) nulla cambierà e non ci saranno colpi di scena. Una linea che peraltro si sposa benissimo con l'idea, piuttosto radicata nell'opinione pubblica, che la politica, specie al livello nazionale, abbia smesso di incidere su determinati processi. Tradotto in altri termini: non è credibile ipotizzare che un governo Meloni porti l'Italia in altre sfere d'influenza, che l'Italia passi ad appoggiare Putin, che scelga di bruciare i soldi del Pnrr e via discorrendo.

Come andrà alle elezioni del 25 settembre

Mancano ancora molti giorni e c'è una larga fetta di indecisi, persone che decideranno solo all'ultimo momento per chi votare. In situazioni del genere, l'unico modo per sovvertire pronostici o cambiare trend consolidati è quello di puntare su un'ampia mobilitazione dell'opinione pubblica, un'onda che sia in grado di canalizzare il voto degli indecisi, facendolo convergere su "opzioni utili". È avvenuto nel 2018, quando le ultime settimane di campagna elettorale videro cresce il vento dei 5 Stelle (che andarono oltre ogni previsione, fino a sfiorare una vittoria in solitaria) e in parte anche con le Regionali in Emilia Romagna, quando in centinaia di piazze in tutta Italia si impose il mood del "fermare Salvini" (in quel caso fu la trovata delle "6000 sardine"). Il vero problema del centrosinistra è che quest'onda non c'è stata e non sembra potersi generare dal basso. Un po' a causa della frammentazione nel campo del centrosinistra, un po' per il generale clima di rassegnazione in cui è precipitata la campagna elettorale.

Se non c'è alcun obiettivo realisticamente raggiungibile, è il ragionamento che stanno facendo in molti, tanto vale votare la parte politica che si ritiene più vicina, quella in cui ci si ritrova più pienamente o che ha il leader più attrattivo. In questo senso, la coalizione di Letta si trova schiacciata tra le piattaforme radicali di M5s e Unione Popolare a sinistra e l'agenda Draghi di Calenda e Renzi al centro. Trovare uno spazio non è semplicissimo, malgrado le enormi contraddizioni della destra nel campo dei diritti civili e della giustizia sociale, proprio perché ci sono tanti soggetti a occupare le stesse keyword e a occupare le stesse basi. È il limite maggiore della frammentazione del proprio campo, l'errore più grave commesso dai leader del centrosinistra.

Lo slogan "impediamo alla destra di cambiare da sola la Costituzione" da solo non può bastare, l'appello al voto utile così non funziona. E, ancora una volta, a sorridere è solo e soltanto Giorgia Meloni.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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