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Opinioni

Cosa cambia dopo il voto delle Regionali (e no, Renzi non è affatto in crisi)

L’esito delle Elezioni Regionali non preoccupa più di tanto il Presidente del Consiglio Matteo Renzi. Che ha perso male in Veneto e Liguria, ma che, ad oggi, non ha un avversario in grado di impensierirlo. Né interno né esterno alla maggioranza di Governo.
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Tanto si è scritto e detto sulle conseguenze a breve e medio termine del voto delle Regionali, con letture diverse e ipotesi più o meno sensate. In casa renziana si è rispolverato il pragmatismo vecchio stile (c’è poi chi dà la “colpa” ai giornali, eh), ma resta la consapevolezza di un mezzo passo indietro rispetto alle “intenzioni” della vigilia. In ogni caso, non c’è stata né la spallata al Governo né la conferma del trend delle Europee, con i rapporti di forza che restano sostanzialmente gli stessi. Qualcosa si muove all’interno degli schieramenti, però, con il voto degli italiani che ha sostanzialmente confermato tendenze e passaggi di consegne: insomma, le Regionali hanno fotografato lo stato di salute dei partiti, cogliendo le trasformazioni in atto con grande precisione e nitidezza.

A cominciare dal Partito Democratico, in cui evidentemente l’abitudine all’analisi della sconfitta è dura da estirpare. La maggior parte dei commentatori ha parlato di “stop per Renzi” (urtando i fedelissimi del Presidente del Consiglio) e le analisi dimostrano come la perdita di consenso sia chiara, anche se meno traumatica di quanto si possa pensare ad una lettura superficiale dei risultati. Come si legge su IdemLab, infatti: “Dopo avere opportunamente riaggregato le aree elettorali, il risultato complessivo risulta molto più in linea con le attese misurate dai sondaggi sulle intenzioni di voto verso il PD e gli altri partiti nazionali, o comunque meno inspiegabilmente distante. Il PD non replica il risultato straordinario delle Europee. Il governo qualcosa ha pagato per le scelte di rottura compiute negli ultimi mesi. L’area elettorale PD si assesta intorno al 37%”.

Complessivamente l’evoluzione delle aree elettorali nelle 7 Regioni in cui si è votato è chiara:

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Nessun dramma, dunque? Più o meno, perché conta anche "come" si è perso questo consenso e "a causa" di chi / cosa. Renzi sa di aver perso male in Veneto e malissimo in Liguria, e sa di aver vinto "male" in Umbria e malissimo in Campania. Casi sulle quali la minoranza interna al partito giocherà l'ennesimo set di una partita che finora sta perdendo malamente. Nella direzione di lunedì, come ci spiegano fonti vicine alla minoranza cuperliana / bersaniana, si chiederà a Renzi maggiore "cautela e condivisione" nei rapporti fra esecutivo – gruppi parlamentari – partito, si stigmatizzeranno le accelerazioni a colpi di maggioranza e si proverà a confutare la "teoria" del partito della Nazione. Il Presidente del Consiglio metterà sulla bilancia il 10 a 2 degli ultimi 12 mesi e proverà a ribaltare la lettura del caso ligure: non una sconfitta dettata dall'ostinazione e dalla presunzione dei renziani, ma un agguato portato a compimento proprio da "chi non si è rassegnato al risultato delle primarie" e punta a rompere dall'interno. È uno snodo importante, perché si capirà se c'è spazio per una versione "conciliante" del bonapartismo renziano, oppure se le rimostranze delle minoranze saranno derubricate a vecchie litanie della politica: in poche parole, si capirà, se c'è ancora spazio per la "zavorra" sulla mongolfiera renziana. E se quella di Civati resterà una scelta isolata.

Le uniche buone notizie per Renzi arrivano dall'opposizione. Il successo di Salvini, netto, senza se e senza ma, è l'ennesimo schiaffo al Cavaliere, ormai relegato ai margini della costruzione dell'alternativa a Renzi. Ma la piattaforma su cui costruire una "coalizione" in grado di contendere la leadership del Paese è allo stato embrionale e presenta una serie di contraddizioni difficilmente superabili senza intaccare il bacino di consenso "oltranzista". Brutalmente: per essere competitivo Salvini deve parlare anche ad un altro tipo di elettorato ma farlo significa lasciare campo libero alle altre forza antisistema; per essere credibile deve mettere da parte populismo e qualunquismo e approfondire il lavoro sui temi (come fatto sull'economia, ad esempio, con scelte discutibili ma comunque elaborate e sviluppate con grande coerenza, al contrario di quanto avviene ad esempio su immigrazione e diritti civili), scegliendo anche una collocazione "ideologica" chiara e definita; per giocarsela deve scendere a patti con la vecchia politica, col Cavaliere e con gli alleati di Fdi, con tutto ciò che comporta in termini di candidature "locali". Operazioni lunghe, rischiose e complesse, che difficilmente potrà completare entro il 2016. Certo è che se passa a Milano…

Il Movimento 5 Stelle resta una enorme incognita, invece. I grillini hanno fermato l'emorragia di consensi (calano in termini assoluti, ma entrano in molte amministrazioni e sono un po' ovunque il secondo partito), ma la prospettiva a lungo termine resta sempre la stessa, confusa e irrealistica. Una "utopia", quella del 50% +1 dei voti, che fino a qualche mese fa, per citare Galeano, serviva "a camminare", a motivare militanti e simpatizzanti, a cementare parlamentari ed eletti e soprattutto a sorvolare su dirigismo e centralismo. I mesi trascorsi in Parlamento, però, oltre ad accelerare l'emergere di tensioni e contraddizioni, sono serviti anche a formare una classe dirigente agguerrita e preparata, capace (per ora) di affiancare Grillo e di prendersi oneri ed onori. La campagna elettorale, in cui ha avuto un ruolo chiave Luigi Di Maio, ha confermato che il M5S non è più esclusivamente Grillo – dipendente, ma ha anche legittimato le perplessità di chi vede nella rigidità e nell'ortodossia del "no alleanze, no convergenze, no accordi" un limite enorme per il futuro. E la domanda è sempre la stessa: ora cosa facciamo con questo 20%? Entriamo nelle istituzioni e "dialoghiamo" sui temi, la risposta. Appunto, niente di cui Renzi debba preoccuparsi.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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