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Cosa c’è dietro la battaglia sull’articolo 18

La partita sull’articolo 18 si gioca soprattutto in casa Pd, con la minoranza alla disperata ricerca di un compromesso e la maggioranza che “va avanti come un treno”. Per andare dove, non è ancora chiaro…
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Mai come questa volta il quadro è chiaro e le truppe sono già schierate sul campo di battaglia (o quasi). Sulla questione articolo 18 (che poi c'entra solo in parte con la legge delega), infatti, da una parte c'è il campo degli "abolizionisti" formato da Ncd, centristi vari, Forza Italia e altre isolate componenti parlamentari (con l'appoggio di Confindustria); da un'altra c'è quello dei "conservatori" (vabbeh…), composto da Movimento 5 Stelle, Sinistra Ecologia e Libertà ed altre forze della minoranza parlamentare (con il supporto dei sindacati); e poi c'è il Partito Democratico, con la maggioranza renziana che si trincera dietro concetti come "la visione d'insieme", "la non essenzialità del dibattito sull'articolo 18" mentre la minoranza fa sapere di "non voler rompere" e spera nella funzione "salvifica" del compromesso.

Dall'America però, sul punto, interviene con la solita chiarezza (siamo ironici, meglio specificarlo), il Presidente del Consiglio: "Io rispetto tutte le idee, rispetto le idee del sindacato, compromesso non è una parola cattiva ma in questo caso il compromesso non è la strada. Questo non è il momento del compromesso ma è il tempo del coraggio". Mettendo insieme i pezzi è però possibile ricostruire la linea dei renziani: "Aboliremo l'articolo 18 per i nuovi assunti, daremo il via libera al contratto a tutele crescenti, rivedremo gli ammortizzatori sociali estendendoli ai (vecchi e nuovi) precari". A blocchi, certo, perché delle specifiche (che poi sono la parte fondamentale) nemmeno a parlarne, come nota il professor Mariucci:

"Ce n’è abbastanza per concludere che la disposizione citata all’inizio non è affatto chiara, non contiene “principi e criteri direttivi” univoci, tanto da essere interpretata in termini radicalmente diversi dagli stessi proponenti. Si tratta quindi della classica “delega in bianco”, costituzionalmente inammissibile. Non si capisce  infatti, cosa siano queste famose “tutele crescenti”, quando e come abbiano inizio e termine, e che cosa accade alla fine del periodo di transizione.

Paradossalmente le prime risposte a queste domande sono arrivate dalla minoranza del Partito Democratico, che sa di giocarsi una partita in cui ne va della sua stessa sopravvivenza. Perché, o si portano a casa risultati chiari e digeribili anche dalla componente sindacale, oppure sarà completa la metamorfosi del Partito Democratico, con la recisione degli ultimi legami con l'area sindacale e con il compimento del processo di riposizionamento nella società italiana (varrebbe la pena di riflettere sul fatto che la rappresentatività di una forza politica è cosa diversa dal suo bacino elettorale).

È una battaglia decisiva, malgrado la volontà di minimizzare lo scontro in casa democratica, che dirà molto su quello che il Pd sarà nei prossimi anni. Renzi, che pure in passato si era stracciato le vesti sull'inutilità della discussione intorno all'articolo 18, ora non può più bluffare e difficilmente riuscirà a ridimensionare l'impatto del provvedimento e a mascherarne la sostanza con qualche alchimia comunicativa. Per ora, più per calcolo che per scelta, ha mandato avanti i suoi fedelissimi, che di punto in bianco hanno scoperto l'esistenza di frotte di imprenditori stranieri pronti ad investire in Italia appena verrà abbattuto il "totem" dell'articolo 18 e, soprattutto, forse dimentichi del decreto Poletti, hanno capito quanto sia necessario schierarsi dalla parte dei precari e di intere generazioni senza diritti. E il mantra è sempre lo stesso: un Paese fermo, che necessita il cambiamento e che ha un disperato bisogno di rottamare il conservatorismo. Un fuoco di sbarramento necessario, anche perché stavolta il segretario del Pd non può appellarsi nemmeno alla legittimazione del 40,8% degli italiani o al voto delle primarie (ricordiamo che Renzi non ha mai parlato di ritocchi all'articolo 18 nel suo programma, non ne ha mai fatto cenno durante la campagna elettorale per le Europee né in interventi negli organismi di partito)…

La minoranza Pd sta messa decisamente peggio, anche in questo caso. Perché è difficile rispondere ad un attacco concentrico con argomenti che in qualche modo difendono o giustificano la situazione attuale: disoccupazione alle stelle e contemporanea presenza di milioni di persone a zero diritti e zero tutele. Ed è questo il piano di Renzi: presentare la disputa in corsa come un dibattito fra chi vuole allargare le tutele ai precari (loro) e chi difende i garantiti (gli altri), come uno scontro generazionale prima che politico, come un braccio di ferro fra chi vuole creare lavoro con coraggio e innovazione (loro) e chi si trincera dietro i "sindacati novecenteschi" (gli altri). Quanto i vari Cuperlo, Bersani e Fassina riusciranno a respingere questa versione è tutto ancora da capire. Al momento l'unica arma che hanno è quella dei franchi tiratori. Arma spuntata, peraltro, considerando il precedente delle riforme costituzionali e lo scontato aiutino di Forza Italia all'amico Matteo. Ma, appunto, se si arrivasse a questo punto le ripercussioni politiche sarebbero enormi.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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