Cosa accadrà dopo le dimissioni di Giorgio Napolitano e come si eleggerà il successore
Come ormai noto, a brevissimo Giorgio Napolitano dovrebbe annunciare le sue dimissioni dalla carica di Presidente della Repubblica. Dopo nemmeno due anni dalla sua seconda elezione al Quirinale, dunque, Napolitano aprirà la strada alla sua successione, nella convinzione che il processo per l’elezione del nuovo Capo dello Stato sia meno traumatico del precedente e che non si ripete (nemmeno lontanamente) quanto accaduto dopo le politiche del 2013.
Il percorso successivo alle dimissioni è disciplinato in parte dall’articolo 86 della Costituzione:
Le funzioni del Presidente della Repubblica, in ogni caso che egli non possa adempierle, sono esercitate dal Presidente del Senato.
In caso di impedimento permanente o di morte o di dimissioni del Presidente della Repubblica, il Presidente della Camera dei deputati indice la elezione del nuovo Presidente della Repubblica entro quindici giorni, salvo il maggior termine previsto se le Camere sono sciolte o manca meno di tre mesi alla loro cessazione.
In sostanza, dopo le dimissioni di Napolitano, sarà il Presidente del Senato Grasso ad esercitare le funzioni di Capo dello Stato, mentre a Palazzo Madama la “reggenza” sarà affidata ai vice – Presidenti (Valeria Fedeli, Linda Lanzillotta, Roberto Calderoli e Maurizio Gasparri). Entro quindici giorni il Presidente della Camera dei deputati Laura Boldrini dovrà indire l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica, avviando così il processo che porterà alla successione al Quirinale.
Nel breve intervallo di tempo che intercorre fra la convocazione e la prima seduta a Camere riunite (che si terrà a Montecitorio), verrà completata la platea dei “grandi elettori” che hanno diritto di voto per l’elezione del Presidente della Repubblica. Ad eleggere il Presidente della Repubblica saranno infatti 1008 grandi elettori: i 630 deputati, i 315 senatori, i 5 senatori a vita e i 58 delegati regionali. Questi ultimi (la cui partecipazione al voto è sancita dal secondo comma dell’articolo 83 della Costituzione) vengono indicati dai consigli regionali, secondo modalità sulle quali si è a lungo discusso. Come spiega ad esempio il professor Panzeri a Linkiesta, “sul fatto se si debba essere per forza consiglieri regionali, la giurisprudenza ha molto discusso […] La prassi più diffusa è quella dell’elezione del presidente della giunta e del presidente del consiglio regionale, per quanto riguarda la maggioranza, e di un consigliere di minoranza”. Ma “tecnicamente”, nulla vieta che vengano indicate altre figure “eminenti ma estranei al consiglio” (come ricorderete ci fu una piccola polemica circa la possibilità che uno dei grandi elettori potesse essere Matteo Renzi, al tempo Sindaco di Firenze).
I “candidati” devono aver compiuto 50 anni e “godere dei diritti civili e politici”, come recita l’articolo 84 della Costituzione. Non c’è un limite temporale per l’ultimazione delle operazioni di voto, ma solo una variazione del quorum dopo il terzo scrutinio. Per essere eletto, infatti, un candidato deve ottenere la maggioranza dei due terzi (672 voti) fino al terzo scrutinio, oppure la maggioranza assoluta (505 voti) dopo il quarto scrutinio.