Corruzione al ministero del Lavoro, rinviata a giudizio ex dirigente: lascia l’incarico
Il caso di presunta corruzione al ministero del Lavoro, avvenuto nel 2019 e scoppiato a ottobre del 2023 con le richieste di rinvio a giudizio per il primo procedimento sul caso, finirà in tribunale una seconda volta. La prima udienza del processo è fissata il 27 novembre, dopo il rinvio a giudizio di tre imputati: l'ex dirigente del ministero Concetta Ferrari, Fabia D'Andrea e Antonio Rossi, figlio di Ferrari. Il rinvio a giudizio è stato disposto ieri dal gup di Napoli, Enrico Campoli.
Sia Ferrari che D'Andrea erano dipendenti del ministero: per loro l'ipotesi dei pm è il reato di corruzione continuata in concorso. Infatti all'epoca dei fatti, nel 2019, Ferrari era direttrice generale per le Politiche previdenziali e assicurative (mentre successivamente sarebbe diventata segretaria generale), mentre D'Andrea era vice capo di gabinetto del ministro.
Proprio per questo, il caso giudiziario è sfociato nella polemica politica. Dopo il rinvio a giudizio, il deputato del Partito democratico Arturo Scotto ha chiesto che la ministra del Lavoro Marina Calderone rimuovesse Ferrari dal suo incarico di segretaria generale: "Lo chiedemmo quasi un anno fa con un'interrogazione, lo ribadiamo oggi". In risposta, il ministero ha diffuso una nota facendo sapere che la donna "non ricopre più quell’incarico già dal 1° marzo 2024". Per di più, "per quanto viga nel nostro ordinamento il principio della non colpevolezza fino a sentenza definitiva", il ministero ha fatto sapere che Ferrari "ha rassegnato oggi le dimissioni da ‘esperto del ministro', funzione che svolgeva a titolo gratuito".
Secondo l'accusa, le due avrebbero fatto in modo di far arrivare un parere favorevole sulla divisione del patronato Encal-Inpal in Encal-Cisal e Inpal al segretario generale di Cisal, Francesco Cavallaro. Il parere era già stato richiesto in precedenza, ma negato. I due patronati, per gli inquirenti, avrebbero potuto così mantenere dei vantaggi economici e patrimoniali (grazie alle sovvenzioni pubbliche) che altrimenti sarebbero spariti.
In cambio, sempre stando alla ricostruzione della procura, il figlio di Ferrari sarebbe stato assunto come professore straordinario all'università telematica Pegaso (che all'epoca dei fatti era di Danilo Iervolino, ex presidente della Salernitana): nel giro di circa due anni, avrebbe ottenuto 68mila euro di compensi – soldi poi sequestrati dalla Guardia di finanza. Invece D'Andrea avrebbe ottenuto uno scatto di carriera per due conoscenti che lavoravano all'Inps e in un'associazione che si poteva ricondurre a Cavallaro.
Proprio Iervolino e Cavallaro, insieme ad altri, sono imputati nel primo processo che ha riguardato la vicenda. In quel caso, la procura ha richiesto la condanna a cinque anni di carcere per il segretario generale Cisal e a quattro anni e mezzo per il proprietario della Salernitana. Il processo si è svolto piuttosto rapidamente perché gli imputati hanno scelto il rito abbreviato. La sentenza dovrebbe arrivare già nella prossima udienza, che è prevista il 29 ottobre.