Coronavirus, l’Ue si dice “pronta a fare di tutto”. Ma cosa c’è nella proposta della Commissione?
“Faremo tutto quello di cui c’è bisogno”, con queste parole Ursula Von Der Layen ha presentato venerdì il nuovo piano della Commissione europea per contrastare gli effetti della pandemia di Covid-19. La priorità è quella di mettere tutti gli Stati Membri nelle condizioni di risolvere “la più drammatica crisi in Europa dopo la Seconda guerra mondiale”, come l’ha definita il presidente del Parlamento David Sassoli. La comunicazione si concentra in particolare sulle conseguenze sul piano dell’economia, con deroghe al patto di stabilità e l’immissione di almeno 37 miliardi attraverso la nuova iniziativa “Coronavirus Response Investement”. Altri fondi verranno mobilitati grazie a meccanismi già esistenti. Nonostante questo la Commissione sottolinea che “dato il limitato budget di cui dispone l’Unione, la principale risposta fiscale al Coronavirus arriverà dai bilanci nazionali degli Stati Membri”. Alle casse di Bruxelles infatti è andato circa l’1,20 per cento del PIL dei singoli paesi e per la prossima programmazione c’è chi vuole abbassare ancora di più l’impegno chiedendo di non oltrepassare in alcun modo la soglia dell’1 per cento.
L’urgenza più grande è rappresentata però dalla carenza di materiale medico. Ursula Von Der Layen ha annunciato domenica in un video delle misure straordinarie: l’esportazione di questi prodotti a paesi fuori dall’Unione è bloccata, o meglio deve passare per l’autorizzazione dei paesi Ue, “è la cosa giusta da fare – ha detto – perché dobbiamo proteggere i nostri sistemi sanitari”, stesso motivo che l’ha spinta a ricordare che i dispositivi di protezione (guanti, mascherine) che sono presenti nell’Unione “devono assolutamente essere condivisi. Ora è l’Italia ad averne immediato bisogno, ma presto potrebbe toccare anche ad altri Paesi”. Oltre a queste due misure la Commissione sta cercando di velocizzare – in alcuni casi iniziare visto che non ci sono in Ue aziende per mascherine protettive – la produzione degli strumenti necessari. Anche per questo oggi è stato lanciato un bando europeo per l'acquisto di test diagnostici e ventilatori: "Le misure nazionali funzionano solo se sono coordinate con i nostri vicini", ha dichiarato la Presidente della Commissione
Oggi a Bruxelles è stata affrontata anche la questione del controllo delle frontiere con la presentazione di linee guida comuni a livello europeo. E' possibile introdurre dei controlli sanitari, ma questo non significa – e non può significare – chiudere i confini. L'accesso ai cittadini Ue deve essere garantito. Se alle frontiere si presenta qualcuno che ha dei sintomi da Coronavirus è necessario che a questa persona venga fornita assistenza sanitaria. Lo stesso non vale per chi arriva fuori dall'Ue, la commissaria Johansson – responsabile per gli affari interni – aveva dichiarato nei giorni scorsi che: "sarebbe meglio offrire supporto, magari anche attraverso una quarantena, ma gli Stati Membri possono rifiutarsi di far entrare nel territorio europeo i cittadini di paesi terzi per motivi che minacciano la salute pubblica". Deve essere assicurato anche il flusso di beni e servizi: "non è solamente una questione economica, il mercato unico è uno strumento chiave per assicurare la solidarietà europea", ha detto Von Der Layen. La Commissione informa anche che "non possono essere imposte ulteriori certificazioni sui beni perché non c'è nessuna evidenza scientifica che il cibo sia una fonte di trasmissione del Covid-19".
Il massimo della flessibilità per combattere il Covid
Secondo le stime della Commissione di appena un mese fa, il 13 febbraio, l’economia della zona euro avrebbe avuto una crescita dell’1.4 per cento nel 2020 e dell’1.2 nel 2021. Ora questi numeri cambiano drammaticamente e portano i valori sotto lo zero. Calcolando solo l’impatto diretto si prevede che nel 2020 la crescita potrà attestarsi al meno 1 per cento con una ripresa, non completa, nel 2021. Per questo viene proposto che “le spese per contrastare l’epidemia non siano calcolate nei vincoli di bilancio del Patto di Stabilità”.
Non è la prima volta che vengono applicate deroghe al Patto di Stabilità, ma l’impatto che si aspetta per questa crisi sarà sicuramente più forte. In termini pratici questa clausola riguarderà le spese per la sanità e quelle rivolte a imprese e lavoratori, con la condizione però che “siano temporanee e collegate all’epidemia”.
Un’altra misura di sollievo arriva dall’ok agli aiuti di Stato. Secondo gli accordi dell’Unione europea – tranne alcuni casi – questi sono solitamente vietati perché si ritiene che possano falsare la concorrenza nel libero mercato. Per aiuti di Stato si intende qualsiasi trasferimento di risorse pubbliche a favore delle imprese. L’emergenza cambia le regole e si dà il via libera al sostegno economico necessario: alle aziende che rischiano la bancarotta a causa della pandemia, alle imprese danneggiate direttamente e in alcuni casi anche ai cittadini, come per esempio nell’eventualità di rimborsi su viaggi cancellati. La Commissione sostiene che è possibile intervenire in questi modi nei casi di “disturbi seri all’economia di un paese” e cita direttamente l’esempio dell’Italia. Per ora l’unico Stato ad averne fatto richiesta e averne beneficiato è la Danimarca che si è vista approvare 12 milioni di euro per le aziende che hanno sofferto delle perdite a causa della cancellazione di eventi.
37 miliardi per il sistema sanitario, le imprese e i lavoratori
Dopo le prime timide reazioni arriva una risposta più complessiva con il "Coronavirus Response Investement Iniative”. Il meccanismo renderà possibile mobilitare 37 miliardi immediatamente per dare supporto ai sistemi sanitari, offrire liquidità alle aziende in modo da contrastare gli shock finanziari sul breve periodo e infine per i lavoratori attraverso, per esempio, programmi (temporanei) per l’orario di lavoro ridotto e in genere misure che possano aiutare ad attenuare l’impatto della crisi.
I fondi arrivano dal bilancio dell’Ue, quindi non sono nuove risorse. 8 miliardi vengono dai finanziamenti già dati ma non spesi dagli Stati Membri. La procedura ordinaria prevede che ritornino a Bruxelles che invece ci rinuncerà per dirigerli nel contrasto all’epidemia da coronavirus. Gli altri 29 miliardi saranno presi dai fondi strutturali. La Commissione inoltre propone che ulteriori 28 miliardi non ancora assegnati alle dotazioni nazionali vengano considerati “completamente ammissibili per combattere l’epidemia”.
Altri aiuti arriveranno da programmi già esistenti, come il Fondo di Solidarietà europeo che amplierà il proprio raggio di azione includendo anche le minacce alla salute pubblica e che ogni anno mette a disposizione 500 milioni, o il Fondo europeo per la Globalizzazione che nel 2020 ha ancora nelle sue casse 179 milioni di euro.
Il Parlamento e il Consiglio devono agire rapidamente
Il successo di queste iniziative, la possibilità di “massimizzare il loro impatto” per la Commissione dipende da “la rapida attuazione degli stati membri e la rapida reazione dei co-legislatori”. La procedura legislativa dell’Unione europea è molto complessa e prevede diversi momenti, solitamente dalla Comunicazione della Commissione all’entrata in vigore del testo passano in media due anni, un tempo assolutamente non idoneo alle necessità del momento. Il Parlamento europeo, attraverso le parole del suo presidente David Sassoli, si è detto pronto ad agire “il prima possibile”. Il voto sugli aiuti non è stato ancora calendarizzato, ma la prossima riunione plenaria è prevista a Bruxelles per il primo aprile. Il Presidente della Commissione Budget, insieme ai rappresentati dei gruppi politici, ha fatto sapere di "essere pronti ad adottare le misure necessarie il prima possibile", ma ha condannato che i finanziamenti arrivano da fondi già esistenti: "In questa situazione gli Stati Membri devono essere pronti a offrire nuovi mezzi finanziari per combattere questa crisi".
Il Consiglio europeo affronterà il dibattito durante la riunione del 26 e 27 marzo in cui dovrà discutere anche del bilancio dell’Ue per il 2021-2027. L’incontro per ora è confermato a Bruxelles, ma l’Italia ha chiesto di avere i meeting in teleconferenza e con altri Paesi già in lockdown o pronti presto a esserlo non è difficile immaginare che la situazione potrebbe rapidamente cambiare.