A Palermo si chiude un'era. La città saluta il sindaco Orlando, e chi lo ha sostenuto in questi anni, chi ha apprezzato il suo impegno nel rilanciare Palermo a livello internazionale, lo fa con l'amaro in bocca. L'amministrazione di centrosinistra cede il posto alla nuova squadra del sindaco Roberto Lagalla, l'ex rettore dell’Università di Palermo ed ex assessore alla Formazione e all’Istruzione nella giunta di Nello Musumeci, che al primo turno ha sbaragliato la coalizione di centrosinistra, Pd-M5s e Sinistra Civica Ecologista, a sostegno del presidente del Consiglio Nazionale degli Architetti, Franco Miceli, suo principale avversario.
Il consenso di Lagalla, al 47,6% avrebbe potuto forse essere pareggiato solo se si fossero sommate la percentuale di Miceli (29,5%) con quella di Fabrizio Ferrandelli, sostenuto da Azione di Carlo Calenda, insieme a +Europa (14,2%), con l'aggiunta dei voti andati a Rita Barbera (4,4%), ex direttrice delle carceri dell'Ucciardone e di Pagliarelli, sostenuta da Potere al Popolo. Considerazioni queste che forse servono a poco all'indomani del voto, ma è inevitabile fare i conti con gli errori di una campagna elettorale quasi totalmente schiacciata su mafia e antimafia, e quasi per nulla concentrata sui problemi reali della città, soprattutto quelli delle periferie. Palermo non è solo i quartieri “bene”, e chi se ne è dimenticato ha pagato il prezzo.
Una disfatta per il centrosinistra, e viste le premesse era forse prevedibile, non solo per la designazione di un candidato assente dalla scena politica da più di vent'anni come Franco Miceli. E se le elezioni siciliane sono spesso considerate un antipasto di quello che accade alle politiche, nessuno tra i giallo-rossi dovrebbe dormire sonni tranquilli. La scelta del "campo largo", l'alleanza Pd-M5s qui non ha funzionato, e ha determinato la virata della federazione Azione/+Europa su Ferrandelli, per l'impossibilità strutturale, dichiarata da Calenda, di scendere a patti con i pentastellati. Questo ha certificato piuttosto la nascita di un un terzo polo, o come lo definisce Ferrandelli, al suo terzo tentativo per Palazzo delle Aquile, "la terza via".
Se l'offerta politica era già troppo frammentata, con il risultato che il centrodestra compatto ha vinto senza problemi, il fronte progressista, che si è presentato disunito, ha pagato anche la debolezza dei temi cavalcati per contrapporsi agli avversari. Questa è la sua grave colpa: aver concentrato tutte le energie sulla "questione morale", illudendosi ingenuamente che ai palermitani bastasse indignarsi per il ritorno di Totò Cuffaro e Marcello Dell'Utri, entrambi condannati per fatti legati alla mafia (hanno finito di scontare la loro pena), a sostegno di Lagalla. In una città dove 63mila famiglie vivono grazie al reddito di cittadinanza, e più di 800 nuclei non hanno un tetto sopra la testa e sono in perenne emergenza abitativa (la graduatoria per le case popolari non si aggiorna dal 2004) questo è stato un errore imperdonabile.
Come è imperdonabile il generale distacco dai problemi della città, l'assenza di soluzioni pratiche alla questione della raccolta rifiuti, il disinteresse sullo stato dei campi sportivi, abbandonati o sottoutilizzati, come il campo da baseball, il Diamante di Fondo Patti, di cui nessuno si ricorda più. Nessuno si è preso insomma il disturbo di dire come avrebbe affrontato i nodi centrali, la RAP sotto organico o la carenza di vigili urbani per i controlli sul territorio e per il decoro urbano. Nessuno dei candidati è entrato nel merito dei problemi, piuttosto le questioni più ‘scomode' sono state nascoste negli interventi pubblici. Nessuna risposta sull’origine della voragine del bilancio, sul 50% di evasione sulla riscossione della Tari, dimentichi tutti del fatto che senza equità sociale non può esserci democrazia. I candidati sindaci avrebbero potuto esprimersi anche sul problema delle centinaia di salme non sepolte accatastate nei cimiteri. A dire il vero Franco Miceli a questo proposito aveva lanciato l’idea di un nuovo cimitero metropolitano, senza però indicare un luogo preciso per la sua realizzazione. Nessuno ha saputo spiegare poi come sarebbe stata riorganizzata la macchina amministrativa nel rispetto delle regole di un comune che ha presentato un piano di riequilibrio del bilancio. Ma senza una macchina amministrativa che funziona non possono essere riorganizzati i servizi.
I limiti di Leoluca Orlando
E poi c’è Orlando, che forse come tutti i leader carismatici ha avuto un grosso limite: non è mai riuscito a lavorare veramente in squadra, con il risultato di non aver mai dato spazio ad altre persone dotate, in grado di succedergli. Dopo di lui, sindaco di Palermo per 22 anni, nessuno in grado di raccogliere il testimone. Certo, Orlando si è concentrato, con ottimi risultati, sul rilancio dell’immagine della città, che ha avuto riflessi positivi sul turismo: dal riconoscimento Unesco nel 2015 del circuito arabo-normanno (insieme alle cattedrali di Cefalù e Monreale), a Palermo simbolo dell'accoglienza e dei diritti dei migranti e Capitale italiana della Cultura nel 2018. Ma la valutazione forse più esaustiva sul suo governo della città l’ha data un suo amico di vecchia data, l’ex presidente dell’Enac ed ex deputato Vito Riggio, in un'intervista rilasciata ad aprile a Fabrizio Lentini su Repubblica: "Orlando ha la colpa fondamentale di aver trascurato l’amministrazione privilegiando i simboli: la capitale dell’antimafia anziché la riscossione dei tributi, la raccolta dell’immondizia o la riparazione dei marciapiedi dissestati. Così ha gratificato la borghesia che viaggiando non si sentiva più appellare come mafiosa. Ma i fatti sono argomenti testardi, E senza i fatti i simboli svaniscono. Perché non era possibile coniugare lenzuoli antimafia e marciapiedi sani? Come mai in quarant’anni non si è formata una nuova classe dirigente?".
Nel deserto del dopo Orlando i cittadini hanno disertato in massa le urne, facendo registrare un calo di dieci punti rispetto alla precedente tornata elettorale, quella del 2017, che si era chiusa con il 52,60% di votanti. Certo sull'astensione (affluenza al 41,85%) ha pesato anche il ritardo surreale nell’avvio delle operazioni di voto causato dal forfait dei presidenti di seggio, e la concomitanza con la partita che ha decretato il passaggio in serie B del Palermo. Ma è troppo poco per assolvere del tutto un fronte progressista impegnato quasi esclusivamente a colpire Lagalla per la sua mancata partecipazione agli eventi del trentesimo anniversario della strage di Capaci in ricordo di Giovanni Falcone.