Torna a far discutere l'imminente referendum sul cosidetto "accordo di Mirafiori", con gli operai dello stabilimento Fiat chiamati ad esprimersi sul piano proposto dall'amministratore delegato Sergio Marchionne, accettato dalla quasi totalità dei sindacati ma fortemente osteggiato dalla Fiom guidata da Maurizio Landini (nella foto). Ad animare il dibattito la dichiarazione di Piero Fassino, esponente di spicco del Partito Democratico e futuro candidato Sindaco alle amministrative di Torino, il quale ha ammesso a margine di un incontro con i vertici del Partito: "Se fossi un lavoratore della Fiat voterei sì al referendum sull'accordo a Mirafiori".
Una linea che trova concorde anche l'attuale Sindaco Sergio Chiamparino che sottolinea, al pari di altri influenti leader sindacali, come lo scenario alternativo presenterebbe forti criticità, con il gruppo torinese che concentrerebbe i propri sforzi economici negli impianti esteri, aumentando una frattura che già vede solo il 30% della produzione complessiva in Italia. Ma tuttavia una scelta destinata ad essere materia di dibattito anche internamente al PD, così come successo in passato al momento della scelta dell'allora Governatrice della Regione Piemonte Mercedes Bresso di aprire la campagna elettorale con una manifestazione di sostegno ai "Si TAV".
Anche perchè la posizione della Fiom e più in generale di parti influenti della CGIL è netta e diametralmente opposta, con la volontà di proclamare per la fine di gennaio lo sciopero generale dei metalmeccanici. A fare il punto stavolta è Giorgio Cremaschi (Presidente del Comitato Centrale del più grande sindacato dei metalmeccanici) che, relativamente anche alla controversa situazione dello stabilimento di Pomigliano d'Arco, si scaglia contro gli altri leader sindacali, Angeletti e Bonanni, definiti "la vergogna del sindacalismo italiano" e alza il livello dello scontro sostenendo che le proteste della Fiom scuoteranno il Paese, costringendo la Fiat, il Governo e le altre sigle sindacali ad assumersi le loro responsabilità, tornando sui passi di un accordo che sacrifica il benessere dei lavoratori alle esigenze del profitto d'impresa.