Conte torna all’università: cosa ha detto l’ex premier nella sua “lezione sulla pandemia”
Giuseppe Conte è tornato all'Università di Firenze dopo l'esperienza di governo. L'ex presidente del Consiglio è stato presentato dal rettore e ha tenuto la lezione, a una settimana dall'inizio del nuovo corso di Giurisprudenza, in videoconferenza. "Questa giornata segna il mio ritorno nel mondo accademico", ha iniziato Conte, sottolineando di essere molto contento di tornare. La lezione si è concentrata sulla tutela della salute in questi tempi di pandemia: "L'emergenza che stiamo vivendo è oggettivamente la sfida più severa dal secondo dopoguerra. Ogni decisione che i governi sono stati chiamati ad assumere hanno assunto i connotati di una scelta tragica: ogni decisione ha avuto un impatto diretto sulla vita dei cittadini e sul futuro delle nostre comunità", ha detto Conte, lasciando alla storia bilanci e valutazione.
Per poi ripercorre alcune tappe della pandemia. "L'Italia si è trovata per prima a far fronte alla pandemia. A fine gennaio abbiamo proclamato lo stato di emergenza. Le difficoltà di gestione sono subito apparse evidenti. Il nostro sistema sanitario è a gestione pressoché completa delle Regioni", ha spiegato l'ex presidente del Consiglio. Ricordando poi quella riunione di fine febbraio nella sede della Protezione civile, in cui vennero adottate le prime misure anti-contagio. Che però non furono sempre accolte in modo positivo: anzi, Conte ha ricordato come fin da subito si sono diffuse delle teorie negazioniste. Anche molti Paesi europei del resto, nella prima fase della pandemia, in un primo momento avevano deciso di adottare provvedimenti ordinari di contrasto all'infezione, anche se questi ben presto non si sono rivelati sufficienti.
Quello alla salute, ha evidenziato Conte, è primario e fondamentale anche al godimento di tutti gli altri. "Via via che la pandemia si è diffusa si è consolidata una convinzione ingannevole, che poneva a contrasto la tutela della salute e quella dell'economia. Questa interpretazione andava fin dall'inizio respinta. Era impossibile tutelare la nostra economia senza tutelare la salute dei nostri lavoratori, senza introdurre cautele e protocolli di sicurezza nei luoghi di lavoro", ha aggiunto l'ex presidente del Consiglio. E ancora: "Le valutazioni saranno disponibili solo a distanza di tempo, ma dalle evidenze empiriche appare chiaro che la priorità della tutela della salute ha protetto anche la nostra economia".
Conte ha poi parlato anche del metodo con cui sono state prese le decisioni. Metodo che ha seguito il principio di precauzione e di cautela: "Questo sistema è stato perfezionato e lo scorso autunno ha condotto all'attuazione dell'attuale sistema di monitoraggio basato su sofisticati algoritmi. Così a ciascun territorio vengono applicate misure differenziate e graduate sul rischio". E sulle modalità con cui queste sono state assunte: "La nostra Costituzione non conosce lo stato di emergenza, a differenza di altre europee. Uno dei problemi più delicati ha riguardato la tipologia dei provvedimenti da adottare. Una pandemia così severa rischia di alterare in modo significativo i diversi poteri dello Stato. Abbiamo dovuto costruire un percorso che potesse consentire al governo di adottare ogni misura coinvolgendo costantemente il Parlamento. Nell'attuale assetto spetta alle Regioni l'organizzazione dei servizi sanitari. Ma il governo ha un potere sostitutivo in caso di pericolo grave per la sicurezza pubblica: ebbene non abbiamo mai preso in considerazione questa opzione. Abbiamo preferito coltivare un costante dialogo, pur tra difficoltà, con le Regioni".
Quindi Conte ha citato le ordinanze del ministro della Salute, la dichiarazione dello stato di emergenza e infine i decreti leggi e i famosi Dpcm: "Era necessario dotarci di uno strumento particolarmente agile per intervenire tempestivamente a frenare il contagio. Ma il Parlamento è stato coinvolto e continuamente informato". Questa strategia politica, ha aggiunto Conte, ha permesso al governo di gestire la pandemia senza sfociare nei poteri extra-ordinari che avrebbero avuto un grave impatto sull'equilibrio tra i diversi poteri.
Conte ha proseguito parlando del rapporto tra politica e scienza: "La grande attenzione mediatica verso gli scienziati ha evidenziato la grande varietà di opinioni che si genera anche nella comunità scientifica. Molti cittadini anche oggi si sentono smarriti e hanno sviluppato una considerazione distorta sul campo scientifico. La disillusione rischia di generare una diffidenza anti-scientifica: in realtà il dubbio nella ricerca scientifica è un segnale di maturità, non di debolezza. Il dubbio non mina, ma rafforza le pretese conoscitive della scienza. E l'oggettività della scienza non è l'assenza di conflitti e dubbi, ma l'esito del superamento di questi. La scienza in ogni sua articolazione è un'impresa democratica e le controversie che si sviluppano del suo perimetro sono indizio di razionalità. Considero un bene che nello spazio pubblico si sia levato un dialogo tra politica e scienza. Ma la politica non può domandare alla scienza la risposta alle sue sfide: solo alla politica spetta l'assunzione finale di responsabilità". L'ex presidente del Consiglio ha ricordato come uno scienziato gli avesse scritto che il modo migliore per proteggere la salute dei cittadini sarebbe stato mantenere il Paese in un perenne lockdown, ma che al tempo stesso che si trattasse di una misura insostenibile che non teneva conto di tutti gli aspetti in gioco: "Solo la politica può governare la complessità, offrendo uno sguardo unitario".